Studio Legale
Prof. Avv. Gianvito Giannelli
Via Melo da Bari, 198 BARI
Via San Nicola de Cesarini, 3 ROMA
Il corner della giurisprudenza
a cura dell'avv. Luigi Nicolì
LE ULTIME DELLE CASSAZIONE.
NOVITÀ LEGISLATIVE E IN MATERIA DI PCT
7/10/2015
DISCIPLINA NORMATIVA PCT
PCT: documento informatico, duplicati e copie dopo la Legge 132/2015
16/09/2015
Il processo esecutivo dopo la conversione del D.L. 83/2015
La recente modifica in materia esecutiva, contenuta nel D.L. n. 83 del 2015, è solo l'ultima delle mini-riforme sul tema. A partire dal biennio 2005/2006, infatti, rilevanti sono stati gli interventi sul processo esecutivo, fino a quel momento ingiustificatamente tenuto ai margini dell'interesse del legislatore e, con riferimento specifico al processo di espropriazione forzata, significativo, ma non privo di ostacoli, è apparso il percorso nella direzione dell'effettività della tutela giurisdizionale, quanto meno nel codificare a livello normativo i positivi risultati conseguiti dalla prassi giurisdizionali virtuose di alcuni distretti giudiziari in termini di maggiore rapidità e semplificazione. In tal senso, la L. 10 novembre 2014, n. 162 ha, poi, inserito ulteriori disposizioni di dettaglio relative al processo di esecuzione che non hanno avuto il tempo di considerarsi apprezzabili, stante l'impetuoso susseguirsi del D.L. 27 giugno 2015, n. 83 e della successiva legge di conversione, con modifiche, del 6 agosto 2015, n. 132.
Vediamo, intanto, tutte le novità:
- Esecuzione forzata beni indisponibili o alienati a titolo gratuito
Una delle novità del d.l. n. 83/2015 (già operativa per le procedure iniziate successivamente all’entrata in vigore del decreto) è l’introduzione del nuovo art. 2929-bis al codice civile, il quale ammette l’esecuzione forzata per i beni immobili o mobili registrati del debitore anche se sottoposti a vincolo di indisponibilità (o di alienazioni a titolo gratuito), senza la preventiva sentenza dichiarativa di inefficacia del vincolo o del trasferimento, laddove il vincolo sia sorto successivamente al sorgere del credito e se il pignoramento è stato trascritto entro un anno dalla data in cui l’atto stesso è stato trascritto.
La possibilità è concessa anche ai creditori anteriori se, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, intervengono nell’esecuzione promossa da altri.
- Il “nuovo” precetto
La riforma arricchisce anche il contenuto dell’atto di precetto prevedendo, attraverso la modifica del comma 2 dell’art. 480 c.p.c., l’obbligo del creditore di avvertire, nel medesimo atto, il debitore della possibilità di chiedere aiuto ad un organismo di composizione della crisi o ad un professionista nominato dal giudice, per “porre rimedio alla situazione di sovraindebitamento” concludendo con il creditore stesso un accordo di composizione della crisi o proponendo un piano del consumatore.
La disposizione diventerà operativa a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (leggi: “Il nuovo atto di precetto dopo il decreto ‘anti credit crunch’").
- Portale delle vendite pubbliche
Le aste riguardanti beni immobili o mobili registrati si effettueranno online sul portale unico delle vendite pubbliche e la pubblicità sarà obbligatoria, a pena di estinzione della procedura (leggi: “Aste giudiziarie: d’ora in poi solo online, sul portale delle vendite pubbliche”).
Questa è un’altra delle rilevanti novità previste dal d.l. 83/2015, operativa alla data di entrata in vigore del decreto. Il portale sarà gestito direttamente dal Ministero della Giustizia ed è previsto un contributo obbligatorio di 100 euro per ogni “lotto” di vendita.
La delega al professionista (che dovrà curare la pubblicità) diventa obbligatoria e nasce l’”albo” dei custodi giudiziari: un elenco dei soggetti specializzati per la custodia e la vendita dei mobili pignorati che dovrà essere istituito (con modalità informatiche) presso ogni tribunale (ex nuovo art. 169-sexies disp. att. c.p.c.), contenendo anche la documentazione comprovante le competenze maturate dal singolo professionista, anche relativamente a specifiche categorie di beni.
- Conversione del pignoramento “a rate”
Viene introdotta anche la possibilità per il debitore, a determinate condizioni, di accedere alla conversione del pignoramento “a rate”. Secondo il nuovo quarto comma dell’art. 495 c.p.c., infatti, il debitore potrà chiedere la sostituzione dei beni o dei crediti pignorati con una somma di denaro, da rimborsare anche attraverso un meccanismo rateale. Il giudice disporrà con la stessa ordinanza, laddove ricorrano giustificati motivi, che il debitore versi l’importo con rate mensili entro il termine di 36 mesi, maggiorato degli interessi scalari al tasso convenzionale pattuito o in mancanza al tasso legale. Il giudice, inoltre, ogni sei mesi provvede al pagamento al creditore pignorante ovvero alla distribuzione tra i creditori delle somme versate nelle more dal debitore.
- Perdita di efficacia del pignoramento
Altra rilevante novità della riforma è il dimezzamento dei termini per la perdita di efficacia del pignoramento.
Modificando l’art. 497, primo comma, c.p.c., infatti, il decreto prevede, a decorrere dalla sua entrata in vigore, che la vendita o l’assegnazione dei beni pignorati vada richiesta entro 45 giorni (in luogo degli attuali novanta), a pena di inefficacia.
- Vendita dei beni pignorati e valore degli immobili
Cambiano anche le modalità di vendita dei beni pignorati. Il termine per il deposito dell’istanza scende da 120 a 60 giorni. Sarà il giudice a fissare altresì il numero complessivo degli esperimenti di vendita, in numero non inferiore a tre, oltre ai “criteri per determinare i relativi ribassi, le modalità di deposito della somma ricavata dalla vendita e il termine finale non inferiore a sei mesi e non superiore a un anno alla cui scadenza il soggetto incaricato della vendita deve restituire gli atti in cancelleria”.
Il valore dell’immobile pignorato, secondo il nuovo art. 568 c.p.c. sarà determinato sempre dal giudice avuto riguardo “al valore di mercato sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall'esperto nominato ai sensi dell'articolo 569, primo comma”. Il calcolo dell’esperto dovrà essere effettuato sulla base della superficie dell’immobile (del valore per metro quadro e di quello commerciale), esponendo analiticamente adeguamenti e correzioni della stima, ivi compresa l’eventuale riduzione del valore di mercato (per mancanza della garanzia per vizi, per vincoli o oneri giuridici non eliminabili, per spese condominiali insolute, ecc.).
- Corsia preferenziale per la ricerca telematica
La ricerca dei beni da pignorare, introdotta dal d.l. n. 132/2014 (cfr. art. 492-bis c.p.c.) e ancora inattuabile mancando l’apposito decreto ministeriale, viene già riformata dall’attuale decreto. Viene prevista, in sostanza, la possibilità per il creditore di accedere subito alle banche dati per la ricerca dei beni da pignorare (rivolgendosi autonomamente ai gestori), senza dover attendere il decreto attuativo. La disposizione, prevista dall’aggiunta all’art. 155-quinquies delle disposizioni attuative del codice di procedura civile, perderà efficacia laddove il decreto ministeriale non venga adottato entro un anno dall’entrata in vigore della riforma.
- Limiti al pignoramento di stipendi e pensioni
La riforma modifica anche il limite massimo del pignoramento di stipendi e pensioni di regola fissato nella misura del quinto.
I nuovi commi aggiunti all’art. 545 c.p.c. prevedono infatti, con riferimento al pignoramento delle pensioni che le somme dovute non potranno essere pignorate “per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà” che la parte eccedente è pignorabile nei limiti previsti dalla legge; con riferimento agli stipendi, invece, che le somme dovute, “nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento”, quando invece l’accredito ha luogo “alla data del pignoramento o successivamente”, le predette somme possono essere pignorate nei limiti stabiliti dalla legge.
Il pignoramento eseguito in violazione delle suddette norme è parzialmente inefficace, e l’inefficacia è rilevata anche d’ufficio dal giudice.
La riforma interviene anche sull’art. 546 c.p.c., prevedendo un’aggiunta al primo comma secondo la quale, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore delle somme dovute a titolo di stipendio, pensione (o altre indennità), “gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell’assegno sociale”; quando, invece, l’accredito ha avuto luogo alla data del pignoramento o in data successiva, gli obblighi tornano ad operare nei limiti previsti dall’art. 545 c.p.c.
07/08/2015
Il processo civile telematico dopo la conversione in legge del D.L. 83/2015
Il 5 agosto 2015 anche il Senato, dopo la Camera, ha rinnovato la fiducia al Governo, approvando definitivamente il ddl n. 2021 di conversione, con modificazioni, del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria. Ecco tutte le novità in materia di processo telematico civile.
Disegno di legge 24 luglio 2015, n. 2021
Commentando il D.L. n. 83 del 2015 avevo evidenziato come, nella parte dedicata al processo telematico (artt. 19 e 20), lo stesso apparisse assolutamente deludente; infatti, pur apprezzando le intenzioni del legislatore segnalavo, nel contempo, l'inadeguatezza con le quali le stesse erano state tradotte in norma auspicando idonei correttivi in fase di conversione.
Mai però avrei potuto immaginare una legge di conversione ancora più deludente del decreto: le modifiche apportate, in particolare all'art. 19, appaiono ancora una volta poco chiare e, ove non interpretate nella giusta maniera, potranno essere fonte di eccezioni processuali e di conseguenti decisioni deleterie per i Colleghi.
Prima di passare al commento delle modifiche, è opportuno ricordare quali fossero le finalità dell'art. 19 D.L. n. 83 del 2015 di seguito riepilogate:
1) l'introduzione di un esteso regime di facoltatività del deposito telematico degli atti, svincolato dai limiti dell'art. 35, D.M. n. 44 del 2011, così da superare le incertezze determinate dal comma 1 di tale norma, che, come noto, ha portato a numerose pronunce di inammissibilità di depositi effettuati con modalità telematiche, ma, anche, di depositi tradizionali;
2) l'ampliamento del potere di autentica conferito agli avvocati, con estensione dello stesso anche agli atti notificati che debbano essere depositati in una forma diversa rispetto a quella per mezzo della quale si è perfezionata la notifica;
3) la semplificazione e la razionalizzazione delle modalità di attestazione della conformità delle copie informatiche, svincolandole da quelle previste dal D.P.C.M. 13 novembre 2014 e, in particolare, dall'esigenza di indicazione dell'impronta del file contente la copia informatica (anche per immagine).
Le indicate finalità, ripeto, assolutamente condivisibili, erano però rimaste, di fatto, irrealizzate a causa della forma scelta per la loro formulazione.
Inutile dire che i suggerimenti dell'Avvocatura, portati all'attenzione del legislatore nell'immediatezza della pubblicazione del D.L. n. 83 del 2015, anche questa volta sono stati ascoltati solo in minima parte.
La legge di conversione del D.L. n. 83 del 2015, approvata il 5 agosto 2015, ha:
MODIFICATO
- gli artt. 16-bis (comma 1, comma 9, comma 9 bis, comma 9 octies) 16-decies e 16-undecies del D.L. n. 179 del 2012;
- l'art. 3-bis comma 2 L. n. 53 del 1994
- l'art. 58 comma 2 D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82
- l'art. 71 comma 1 D.Lgs. 7 marzo 2005 n. 82
- l'art. 129 comma 4, Allegato 1 D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico: 1 gennaio 2016)
- l'art. 136 comma 2, Allegato 1 D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico: 1 gennaio 2016)
- l'art. 5 comma 3, Allegato 2 D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico: 1 gennaio 2016)
- l'articolo 43, comma 2, D.L. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114
INTRODOTTO
- il comma 1 bis all'art. 13 dell'Allegato 2 D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico: 1 gennaio 2016)
ABROGATO
- l'art. 2 comma 5, Allegato 2 D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico: 1 gennaio 2016)
- l'art. 5 comma 2, Allegato 2 D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (a decorrere dall'entrata in vigore del processo amministrativo telematico: 1 gennaio 2016)
22/07/2015
Le Sezioni Unite definiscono le "prove nuove" dopo l'emissione del decreto ingiuntivo
Cass. Civ., Sez. Unite, 10 luglio 2015, n. 14475
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, sono intervenute a risolvere il contrasto giurisprudenziale (di fatto solo apparente) in ordine all'ammissibilità o meno in grado di appello di documenti non prodotti dalla parte opposta nel giudizio di primo grado di opposizione a decreto ingiuntivo ma posti alla base della domanda monitoria: si tratta di documenti nuovi o di documenti già prodotti?
L’art. 345, terzo comma, c.p.c. (nel testo introdotto dall’art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995), deve essere interpretato nel senso che, i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo, anche qualora non siano stati nuovamente prodotti nella fase di opposizione, non possono essere considerati nuovi e pertanto, se allegati all’atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili.
15/06/2015
Cass. Civ., Sez. Unite, 15 giugno 2015, n. 12307
Impugnazione di un testamento falso: occorre una domanda di accertamento negativo
Con la Sent. n. 12307 del 2015, le Sezioni Unite sono intervenute sul contrasto giurisprudenziale relativo alle modalità di impugnazione del testamento olografo prodotto in giudizio ed eccepito dai controinteressati essere falso e, anziché optare per una delle due soluzioni precedentemente predicate (sulla necessità o meno di proporre querela di falso o sulla sola sufficienza di formulare istanza di disconoscimento alla quale potrebbe seguire il giudizio di verificazione dell'autenticità della scrittura privata), si sono orientate per una scelta diversa riconducibile al principio espresso nella risalente sentenza n. 1545 del 1951 (est. Torrente), secondo il quale la parte che contesti l'autenticità della scheda testamentaria è tenuto ad avanzare domanda di accertamento negativo della provenienza della stessa, con l'accollo dell'inerente onere probatorio.
LA SOLUZIONE
Nel caso in cui, nell’ambito di una controversia giudiziaria nella quale si discuta del riconoscimento di diritti successori discendenti dall’esecuzione delle disposizioni di un testamento olografo, la parte che contesti l’autenticità di questo atto di ultima volontà, la stessa è tenuta a proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura testamentaria e, quindi, secondo i principi generali applicabili in ordine a questo tipo di azione, incombe sulla medesima parte l’onere di allegare e produrre le relative prove del suo assunto.
I PRECEDENTI
Favorevoli alla tesi della sufficienza della mera proposizione del disconoscimento dell’autenticità del testamento olografo, con corrispondente onere in capo alla controparte di chiedere la verificazione dell’autenticità della provenienza della scrittura di ultima volontà:
Cass. 16 ottobre 1975, n. 3371 La parte che intenda contestare l'autenticità di una scrittura privata non riconosciuta non deve proporre la querela di falso, ma deve impugnarne, in via di eccezione, la sottoscrizione, mediante il disconoscimento. Il ricorso alla querela di falso si rende, invece, indispensabile solo dopo che la cennata scrittura abbia, comunque, acquistato l'efficacia di piena prova in seguito a riconoscimento implicito o presunto, ovvero, alla conclusione positiva del procedimento di verificazione e, cioè, quando oggetto della contestazione non è più l'originaria autenticità della scrittura, ormai definitivamente accertata, ma la verità intrinseca del suo contenuto. Le stesse regole valgono anche per il testamento olografo, che ha la natura di scrittura privata; il che comporta che il soggetto contro cui tale documento è stato prodotto (erede o avente causa) ha soltanto l'onere del disconoscimento, a norma dell'art. 214, comma 2, c.c., mentre compete alla controparte di chiederne la verificazione con il conseguente onere di dimostrarne l'autenticità della scheda testamentaria.
Cass. 12 aprile 2005, n. 7475 Qualora sia fatta valere la falsità del testamento (nella specie olografo), l'azione -che ha ad oggetto l'accertamento dell'inesistenza dell'atto- soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall'art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché -avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti- nell'ipotesi di conflitto tra l'erede legittimo che disconosca l'autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l'onere della proposizione dell'istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull'erede legittimo. Pertanto sulla ripartizione dell'onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l'azione sia stata esperita dall'erede legittimo (per fare valere, in via principale, la falsità del documento) ovvero dall'erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l'autenticità del testamento da parte dell'erede legittimo.
Favorevoli alla tesi della necessità della proposizione della querela di falso da parte di colui che adduce l’apocrificità del testamento olografo fatto valere in sede giudiziale:
Cass. 3 agosto 1968, n. 2793 La contestazione dell'autenticità di un testamento olografo non attribuito alla parte contro la quale esso è prodotto si risolve praticamente in una eccezione di falso e, pertanto, deve essere sollevata solo nei modi e con le forme di cui all'art. 221 e ss. c.p.c.
Cass. 30 ottobre 2003, n. 16362 La procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata (artt. 214 e 216 c.p.c.) riguarda unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo e presuppone che sia negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento è prodotto; per le scritture provenienti da terzi (come nel caso di un testamento olografo), invece, la contestazione non può essere sollevata secondo la disciplina dettata dalle predette norme, bensì nelle forme dell'art. 221 e ss. c.p.c., perché si risolve in un'eccezione di falso.
11/03/2015
Le Sezioni Unite aprono al preliminare del preliminare
Con la Sent. n. 4628 del 2015, le Sezioni Unite sono intervenute sul contrasto giurisprudenziale relativo al preliminare del preliminare, ovvero quel contratto preliminare relativo a compravendita immobiliare scandito però in due fasi: il primo accordo costituisce già contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., oppure questo produce sì effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento?
Cass. Civ., Sez. Unite, 6 marzo 2015, n. 4628
LA SOLUZIONE
In presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice del merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell'esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Riterrà produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare. La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase contrattuale.
I PRECEDENTI
Cass. 2 aprile 2009, n. 8038Il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori (ovvero un contratto preliminare di preliminare) è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l'interesse di obbligarsi ad obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che -in relazione ad una proposta irrevocabile di acquisto di un immobile, con la quale il proponente si era obbligato alla stipulazione di un successivo contratto preliminare- aveva ritenuto che tale proposta fosse priva di effetti giuridici vincolanti).
Cass. 10 settembre 2009, n. 19557Va esclusa la stessa ipotizzabilità giuridica del c.d. preliminare di preliminare, poiché l'art. 2932 c.c., instaura un diretto e necessario collegamento strumentale tra il contratto preliminare e quello definitivo destinato a realizzare effettivamente il risultato finale perseguito dalle parti, con la conseguenza che riconoscere come possibile funzione del primo anche quella di obbligarsi... ad obbligarsi a ottenere quell'effetto, darebbe luogo ad un'incongruente superfetazione, non sorretta da alcun interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, ben potendo l'impegno essere assunto immediatamente.
19/02/2015
PCT: l'omesso deposito della copia cartacea di cortesia "costa" all'avvocato 5.000 euro
L'omesso deposito della c.d. "copia di cortesia" viene sanzionata con la condanna per responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 c.p.c. E così, per gli studiosi del processo (telematico e non) ma anche per gli studenti universitari freschi dell'esame di procedura civile, il provvedimento emesso dal Trib. di Milano (II sez.), 15 gennaio 2015 rischia di annoverarsi tra i precedenti più sorprendenti della storia giuridica italiana.
Trib. Milano, 15 gennaio 2015
La seconda sezione del Tribunale di Milano, chiamata a decidere sull'opposizione allo stato passivo di una procedura fallimentare, vi provvede in data 15 gennaio 2015 con decreto/sentenza assunta, in composizione collegiale, al termine dell'ordinaria e solitamente rapida istruttoria.
Questo il contesto processuale che si svolge con modalità di svolgimento analoghe a quelle del procedimento ordinario (con gli obblighi discendenti dalle disposizioni di cui all'art. 16-bis, D.L. n. 179 del 2012), seppur preordinato a spiegare i suoi effetti in una procedura concorsuale, regolata -ai fini della obbligatorietà del deposito telematico- dall'art. 16-bis, comma 4, D.L. n. 179 del 2012 ed integrata (per quel specificamente attiene alla sede giudiziaria interessata) dal decreto emesso in data 24 giugno 2011 dal DGSIA, ai sensi dell'art. 35, D.M. n. 44 del 2011.
Il giudizio (sul cui merito poco conosce chi scrive) si conclude con il rigetto dell'opposizione a cui viene assicurata esposizione ampia e motivata e si conclude con la comprensibile determinazione sulle spese di giudizio, che vengono poste a carico della parte soccombente seppur in misura non perfettamente aderente alle disposizioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, che avrebbero forse dovuto condurre ad una liquidazione parametrata all'elevato valore della causa (euro 3.528.304,16).
Alla condanna di cui sopra si associa una ulteriore pronuncia non particolarmente frequente nell'ordinaria casistica processuale anche allorquando espressamente sollecitata da una delle parti costituite: la condanna alla responsabilità aggravata ai sensidell'art. 96 c.p.c.
Il Tribunale di Milano provvede su questo punto applicando d'ufficio la tipologia delineata al comma 3 della norma citata e facendo quindi legittimo esercizio della ondivagante "discrezionalità del giudicante" che -dice l'art. 96- consente "In ogni caso..." la condanna della "...parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata." e che, nel caso che qui ci interessa, viene quantificata nel 2,4 % dell'importo liquidato a titolo di spese giudiziali.
La decisione è abnorme, illegittima e rivela immediatamente un suo effetto devastante anche sul piano extra giuridico, minando alla qualità ed all'autorevolezza del supporto giurisprudenziale di merito tradizionalmente apportato dal Tribunale milanese, soprattutto in un contesto (quello del PCT) che quella sede ha conosciuto sin dalla sua nascita, imponendosi quale punto di riferimento nazionale per la sua pratica applicazione.
Il caustico giudizio che precede viene suggerito ed asseverato dalla lettura della succinta parte motiva che finisce per risolversi nella irrogazione di una vera e propria punizione alcomportamento processuale dell'opponente e ravvisato nell'omessa allegazione della copia c.d. "di cortesia" (cartacea) alla comparsa conclusionale (telematicamente depositata), ritenuta produttiva di un aggravio, per il Collegio decidente, nella fase di esame delle difese delle parti.
L'assunto pare saltare a piè pari quel ponte, delineato all'indomani del 30 dicembre 2014, che ha esteso a gran parte dell'attività processuale, l'obbligo di deposito telematico già in parte vigente fin dal 30 giugno 2014. Esso -come detto- si colloca sorprendentemente in una sede giudiziaria notoriamente avanzata sul piano della pratica attuazione del sistema del P.C.T. e da tempo assurta a "faro" per quelle (non poche) ancora ferme alla fase sperimentale.
Da quella data, come si insegna ormai anche nei corsi universitari di procedura civile, il deposito è obbligatoriamente telematico, senza che vi sia alternativa previsione o deroga differenti da quelle predisposte dalla Legge a parare singole patologie (malfunzionamento dei servizi telematici e/o esigenze processuali individuate dal giudice) e che, in quanto tali, assumono carattere di eccezionalità.
Il sistema di deposito telematico si colloca, d'altra parte, nel più ampio genus della c.d. "dematerializzazione" altrettanto notoriamente preordinata alla graduale eliminazione della componente cartacea nel contesto delle amministrazioni pubbliche (a cui quello della giustizia sicuramente appartiene).
Le premesse che precedono concorrono quindi ad escludere che possa ancora procedersi ad un deposito di atti processuali con forme e modalità differenti da quelle richieste obbligatoriamente nel testo di Legge ovvero acconsentite dai decreti dirigenziali.
Men che meno ipotizzabile l'eventualità che la deroga a quelle disposizioni possa essere introdotta nelle forme dei pur diffusi "protocolli d'intesa", localmente concordati tra alcuni (neanche tutti) dei soggetti coinvolti nella fase esecutiva del c.d. PCT.
Di diverso avviso il Tribunale meneghino che proprio a quel protocollo fa espresso riferimento, rappresentandone una portata generale e vincolante tale da assoggettare la sua inosservanza (comprensiva della previsione sul deposito delle c.d. "copie di cortesia") alla grave sanzione prevista dall'art. 96 comma 3 del codice di procedura vigente, irrogata nel caso qui commentato.
La considerazione, trasposta nella decisione qui commentata, apre un pericolosissimo varco nel panorama della giurisprudenza di merito sul PCT, suscettibile di essere condiviso in quel contesto che non ha mai nascosto la palese avversione allo sviluppo del sistema telematico e che si è adagiato acriticamente su precedenti decisioni senza curare di motivarne le ragioni.
Sul piano processual civilistico la decisione sarebbe, a dire il vero, destinata ad infrangersi con l'irreperibilità di una disposizione che imponga -soprattutto nel contesto informatico- l'obbligo di integrazione del deposito telematico con quello cartaceo affidato alla "copia di cortesia" (nozione essa stessa ignota al codice salvo a forzare l'analogia con quelle prassi del vecchio processo civile che autorizzavano lo scambio diretto delle comparse tra i difensori costituiti).
Si tratta di una considerazione che contribuisce a ridimensionare (fino ad escluderla completamente) il vincolo ascritto dal Tribunale milanese al "protocollo d'intesa", equiparabile ad un apprezzabile "gentleman agreement" tra i soggetti coinvolti nell'espletamento delle attività processuali; destinato a spiegare la sua efficacia nell'ambito dei rapporti di reciproca collaborazione tra le varie parti del sistema giudiziario e comunque precluso a spiegare la sua efficacia erga omnes che finirebbe per essere estesa finanche al professionista forestiero che dovesse trovarsi occasionalmente ad operare presso la sede giudiziaria meneghina, disconoscendo la sua regolamentazione locale.
Chè poi, anche a voler abbandonare per un attimo la preliminare e pregiudiziale censura sulla pretesa che precede, resterebbe tutto da valutare se l'applicazione dell'art. 96, comma 3, c.p.c. sia consistita di corretta e legittima applicazione delle disposizioni del codice ovvero pronuncia abnorme al pari di quella parte della sentenza ad esso dedicato.
Il decreto, per intanto, azzera quell'orientamento sostenuto da illuminati magistrati del medesimo Tribunale che, percepito il definitivo superamento della convivenza tra sistema analogico e cartaceo, hanno da tempo privilegiato ai profili formali del deposito dell'atto processuale, la sua idoneità -comunque effettuata- al raggiungimento dello scopo, ipotesi che, nel caso di specie, sembrerebbe essere stato perfettamente realizzato nel momento in cui ha consentito al giudice il completo esame del merito della causa, gravandolo semmai dal disagio derivante da propria e manifesta incapacità ad acquisire autonomamente una stampa della comparsa conclusionale depositata dall'opponente.
Essa trascura di esaminare l'excursus storico dell'art. 96 c.p.c., originariamente associato all'ormai abrogata (art. 46, comma 20, L. n. 69 del 2009) disposizione dell'art. 385 c.p.c., preordinata a perseguire l'abuso del processo ed oggi affidata (proprio ai sensi del comma 3) a piena, ma inevitabilmente ragionata, valutazione discrezionale del giudice su un comportamento processuale improntato a pregiudicare la durata fisiologica e ragionevole del procedimento (che poi risente invero di altri e ben differenti causali).
Lungi da chi scrive interferire quindi su quella discrezionalità ma inevitabile affidare una lettura pressocchè testuale della disposizione codicistica, nella parte in cui essa mira a rafforzare le ragioni della parte vincitrice, beneficiandola dell'ulteriore guiderdone liquidabile "...anche d'ufficio..." in suo esclusivo favore (..."pagamento a favore della controparte...").
A fronte di questi princìpi, a cui non concorrono neanche la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, il Tribunale di Milano oppone una sorta di personale punizione che finisce per colpire il difensore della parte opponente, reo di una lesa maestà attuata nei confronti di un Collegio che, a norma di protocollo, avrebbe dovuto obbligatoriamente disporre di materiale cartaceo idoneo a rendere la disamina delle tesi difensive quanto meno gravosa possibile.
Si tratta di una valutazione poco degna dell'elevata qualità del materiale giurisprudenziale solitamente prodotto dal capoluogo lombardo e che si risolve nella dichiarata rilevanza giuridica di una omissione dichiaratamente riconducibile alla "scortesia" del difensore (dacché "cortese" viene definita la copia cartacea dell'atto non prodotto) meritevole di pubblica gogna.
In questo paradossale contesto ingenerato dalla sentenza menzionata, non possono mancare brevi considerazioni personali sui suoi pratici effetti, la cui revisione, in sede di gravame, appare ragionevolmente impensabile perché rimessa alla scelta di un soggetto (la parte soccombente) già gravata dal considerevole impegno di spese processuali e dalla sfavorevole valutazione del merito della causa.
Neanche peregrina, anzi, l'eventualità che la motivazione esposta dal Tribunale legittimi le rimostranze del cliente nei confronti del proprio avvocato, dichiaratamente responsabile di un errore processuale e quindi chiamato a risponderne professionalmente, deontologicamente e, sia pur nei limiti della condanna sancita ai sensi dell'art. 96 c.p.c., anche economicamente.
Le nefaste conseguenze vengono solo in qualche modo mitigate in extremis dal tempestivo ed opportuno intervento congiunto del Curatore fallimentare e del G.D. della procedura fallimentare di riferimento. Il primo si determina ad acquisire rapidamente il parere del comitato dei creditori sulla possibilità di proporre al G.D. la rinuncia al credito derivante dalla condanna ex art. 96 c.p.c. in luogo di una sollecita corresponsione del solo importo liquidato a titolo di spese di giudizio.
Il Giudice delegato (dott.ssa Irene Lupo), con provvedimento del 7 febbraio 2015 assevera quella determinazione motivando laconicamente (ma significativamente) le sue ragioni con un personale giudizio sull'opinabilità del fondamento della decisione ("...rilevato che detta pronuncia ex art. 96, comma 3, c.p.c. appare fondata su un principio opinabile ritenendo l'obbligo dell'avvocato quello che potrebbe configurarsi come atto di cortesia..."), così chiudendo il cerchio dell'infelice provvedimento giudiziale
16/05/2015
Termini e scadenze nel processo esecutivo dopo la riforma.
Come sappiamo, l'art. 18 del D.L. 132/2014, convertito nella L. n, 162/2014, ha introdotto nel processo esecutivo dei termini ben precisi per l'iscrizione a ruolo della procedura, con contestuale deposito degli atti esecutivi in cancelleria.Vediamo nel dettaglio le singole ipotesi:
a) art. 518 c.p.c. : Espropriazione mobiliare presso il debitore : dopo aver compiuto le operazioni, l’ufficiale giudiziario riconsegna senza ritardo al creditore il processo verbale, il titolo esecutivo e il precetto ed è il creditore che deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi degli atti di cui al periodo precedente, entro quindici giorni (15 gg.) dalla consegna.
b) art. 543 c.p.c : Espropriazione presso terzi : dopo aver eseguito l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario riconsegna senza ritardo al creditore l’originale dell’atto di citazione ed è il creditore che deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta giorni (30 gg.) dalla consegna.
c) art. 557 c.p.c. : Espropriazione immobiliare : eseguita l’ultima notificazione, l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari; è quindi Il creditore che deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo, del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di trascrizione entro quindici giorni (15 gg.) dalla consegna dell’atto di pignoramento. Nell’ipotesi di cui all’articolo 555, ultimo comma, il creditore deve depositare la nota di trascrizione appena restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari.
Attestazione di conformità: la conformità delle copie degli atti agli originali è attestata dall’avvocato del creditore ai soli fini della iscrizione a ruolo, di cui agli articoli citati. Conseguenze della mancata iscrizione a ruolo: Il pignoramento perde efficacia se si depositano la nota di iscrizione a ruolo e le copie degli atti oltre i termini sopra evidenziati per le diverse procedure (gg. 15-30-15).L'art. 164-ter. delle disp.att. c.p.c., (Inefficacia del pignoramento per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo) prevedeche, quando il pignoramento è divenuto inefficace per mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo nel termine stabilito, il creditore entro cinque giorni (5 gg) dalla scadenza del termine ne fa dichiarazione al debitore e all’eventuale terzo, mediante atto notificato. In ogni caso ogni obbligo del debitore e del terzo cessa quando la nota di iscrizione a ruolo non è stata depositata nei termini di legge. Infine, un promemoria: a decorrere dal 31 marzo 2015, il deposito nei procedimenti di espropriazione forzata della nota di iscrizione a ruolo ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Unitamente alla nota di iscrizione a ruolo devono essere depositati, con le medesime modalità, le copie conformi degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma, del codice di procedura civile e il difensore attesta la conformità delle copie agli originali.
11/02/2015
Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 3 febbraio 2015, n. 1896.
Responsabilità da cosa in custodia: il caso del pedone che si ferisce sbattendo contro un palo
In applicazione dell’art. 2051 cod. civ., spetta al custode convenuto, per liberarsi dalla presunzione di responsabilità, la prova dell’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento lesivo, che presenti i caratteri del caso fortuito (che può essere anche il fatto del danneggiato), tuttavia questo onere probatorio presuppone che l’attore abbia, a sua volta, ed in via prioritaria, fornito la prova della relazione tra l’evento dannoso lamentato e la cosa in custodia
11/02/2015
Potenziamento delle Sezioni specializzate in materia di impresa, istituzione di una sezione specializzata per la famiglia, i minori e la persona con competenza su tutti gli affari relativi alla famiglia (anche non fondata sul matrimonio), misure volte ad assicurare una riduzione dei tempi processuali in primo grado, in appello ed in Cassazione. Sono questi alcuni degli interventi contenuti nel testo del disegno di legge approvato ieri, 10 febbraio 2015, dal Governo.
Disegno di legge 10 febbraio 2015, Efficienza del processo civile
Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri, 10 febbraio 2015, il disegno di legge che conferisce al Governo la delega a ridefinire il quadro della giustizia civile in Italia. L'obiettivo è quello di riformare organicamente il processo civile secondo parametri di maggiore efficienza e specializzazione.
Ragioni e finalità della riforma:
- «migliorare efficienza e qualità della giustizia, in chiave di spinta economica, dando maggiore organicità alla competenza del tribunale delle imprese consolidandone la specializzazione;
- rafforzare le garanzie dei diritti della persona, dei minori e della famiglia mediante l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e la persona;
- realizzare un processo civile più lineare e comprensibile;
- ridurre i tempi del processo mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione».
Tribunale delle imprese
La delega mantiene invariato il numero delle Sezioni Specializzate in materia di impresa che prenderanno il nuovo nome di "Sezioni specializzate per l'impresa e il mercato". Viene però ampliato il loro ambito di competenza fino a ricomprendere anche le seguenti ulteriori materie:
- «controversie in materia di concorrenza sleale, anche se non interferenti con l'esercizio dei diritti di proprietà industriale e intellettuale;
- controversie in materia di pubblicità ingannevole;
- azione di classe a tutela dei consumatori prevista dal codice del consumo;
- controversie relative agli accordi di collaborazione nella produzione e nello scambio di beni o servizi e relativi a società interamente possedute dai partecipanti all'accordo;
- controversie societarie relative (anche) a società di persone;
- controversie in materia di contratti pubblici di lavori, servizi o forniture, rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario».
Tribunale della famiglia e dei diritti delle persone
Tra gli obiettivi del provvedimento si segnala la realizzazione di una Sezione specializzata per la famiglia, i minori e la persona con competenza chiara e netta su tutti gli affari relativi alla famiglia (anche non fondata sul matrimonio), e su tutti i procedimenti attualmente non rientranti nella competenza del Tribunale per i minorenni in materia civile.
Riforma del Processo civile
La delega prevede inoltre interventi per assicurare anche una riduzione dei tempi processuali in primo grado, in appello ed in Cassazione.
Primo grado
- revisione della fase di trattazione e discussione, anticipando gli scambi di memorie per consentire di avere il quadro completo della lite alla prima udienza.
- razionalizzazione dei termini processuali
- semplificazione dei riti processuali mediante la omogeneizzazione dei termini degli atti introduttivi.
Appello
- potenziamento del carattere impugnatorio dell'appello anche attraverso l'assestamento normativo e la stabilizzazione dei recenti orientamenti giurisprudenziali.
- maggiore chiusura alle nuove domande, eccezioni e prove.
Ricorso per Cassazione
- uso più diffuso del rito camerale
- «riforma costituzionale che veda inseriti in un organo giudiziario supremo giudici oggi appartenenti ad altre magistrature, ovvero che veda attribuire ad una corte riformata controversie oggi regolate sulla base della doppia giurisdizione. In tale prospettiva, si potrebbe individuare un modello pressoché unico di processo civile supremo».
Ma non è tutto. La delega introduce anche:
- il principio di sinteticità degli atti di parte e del giudice(testi facilmente comprensibili dalle parti e contenenti l'indicazione dei termini essenziali delle controversie e delle ragioni per le quali il giudice ha reso la sentenza condannando l'una o l'altra parte).
- il criterio di adeguamento delle norme processuali al processo civile telematico.
La delega arricchisce ed integra il decreto legge sull'arretrato civile (definitivamente approvato dal Parlamento), nonché le norme contenute nella disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati (vicina al voto finale alla Camera) e nella riforma organica della magistratura onoraria (attualmente incardinata al Senato).
22/09/2014
CREDITO
Mutuo fondiario: ultimi orientamenti della Cassazione
Un contratto di mutuo fondiario non è nullo per difetto di forma scritta ove ad esso sottostia un contratto di provvista in valuta estera stipulato dalla sola Banca mutuante, essendo nel contratto di mutuo già interamente definiti l’accordo delle parti ed il suo oggetto, a nulla rilevando il rischio di cambio da regolare alla scadenza della rata, che, semplicemente, presuppone l’esistenza dello stesso contratto di provvista.
Inoltre, il principio di specialità soggettiva dell’ipoteca non richiede, tra gli altri, anche la specificazione del contenuto del credito, specie per l’eventualità del rischio di cambio, essendo sufficienti l’indicazione del limite massimo garantito, che non si identifica con l’importo del credito garantito, ed il titolo del credito.
Inoltre, sempre sul rischio di cambio, non può ritenersi violato il principio per cui l’ipoteca vale anche per crediti futuri dipendenti da un rapporto già esistente, ove la relativa clausola di accettazione del rischio sia stata espressamente convenuta e, quindi, essa costituisca un’obbligazione accessoria del contratto di mutuo.
Infine, nel caso di un mutuo fondiario stipulato anteriormente all’entrata in vigore del TUB, gli interessi di mora si applicano sull’intera rata scaduta e, quindi, inclusa anche la parte che rappresenta gli interessi scaduti di ammortamento.
Cassazione Civile, Sez. III, 27 agosto 2014, n. 18325
08/09/2014
ESECUZIONI E PIGNORAMENTI
Procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento: difetto di notificazione ed invalidità della dichiarazione di esecutività
Con sentenza del 4 settembre 2014, C‑119/13 e C‑120/13, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha fornito interessanti chiarimenti in materia di procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, enunciando i seguenti principi.
Il regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento, deve essere interpretato nel senso che i procedimenti di cui agli articoli da 16 a 20 del medesimo regolamento non sono applicabili quando risulti che un’ingiunzione di pagamento europea non è stata notificata in conformità delle norme minime stabilite agli articoli da 13 a 15 del citato regolamento.
Quando siffatta irregolarità venga alla luce soltanto dopo la dichiarazione di esecutività di un’ingiunzione di pagamento europea, il convenuto deve avere la possibilità di denunciare detta irregolarità, la quale deve, qualora debitamente dimostrata, determinare l’invalidità di tale dichiarazione di esecutività.
Corte di Giustizia UE, Sez. III, 4 settembre 2014, C‑119/13 e C‑120/13
06/08/2014
GARANZIE
La Cassazione apre alla buona fede della banca vittima del reato del dipendente
Con la sentenza n. 34039/14, la Prima Sezione della Suprema Corte, cassando le decisioni dei giudici di merito, ha stabilito che “gli istituti bancari rimasti vittime dei delitti di truffa o appropriazione indebita all’atto dell’erogazione dei mutui, in forze dei quali erano state iscritte ipoteche sugli immobili confiscati, devono essere considerati terzi estranei ai reati posti in essere dal soggetto nei cui confronti è applicata la misura di prevenzione patrimoniale e, pertanto, nei loro confronti non può essere ordinata la cancellazione della trascrizione dell’ipoteca nei registri immobiliari”.
Il ragionamento della Corte di Cassazione ha preso ovviamente avvio da quanto già rilevato dalle Sezioni Unite Bacherotti, per cui l’applicazione della confisca non determina l’estinzione del preesistente diritto reale di garanzia costituito a favore di terzi sulle cose che ne sono oggetto quanto costoro, avendo tratto oggettivamente vantaggio dall’altrui attività criminosa, riescono a provare di trovarsi in una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole (Cass. Pen., S.U., n. 9/1999).
La Suprema Corte ha sostenuto che i giudici di merito hanno omesso di verificare l’estraneità oggettiva degli istituti di credito ai reati posti in essere dal soggetto destinatario della misura di prevenzione patrimoniale: in questo caso, la mancanza di un qualsiasi vantaggio per le banche si evince dal fatto che “gli istituti bancari avevano erogato denaro di loro proprietà confidando sulla sua regolare restituzione e, comunque, sul valore sufficiente degli immobili ipotecati per recuperare il credito in caso di mancato spontaneo adempimento al contratto di mutuo; le rate del mutuo erano state rimborsate se non in minima parte, mentre gli accertamenti dimostravano che gli immobili ipotecati avevano un valore nettamente inferiore a quanto creduto”.
Cassazione Penale, Sez. I, 31 luglio 2014, n. 34039
1/04/2014
PROCEDURA CIVILE
Nullità del pignoramento per inefficacia del precetto, il rimedio è l'opposizione agli atti esecutivi. L'invalidità del pignoramento determinata dal decorso del termine di novanta giorni dalla notificazione del precetto prima dell'inizio della esecuzione va fatta valere col rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi da proporsi nel termine di decadenza di cui all'art. 617 c.p.c. decorrente dalla data del pignoramento.
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 27/03/2014, n. 7206
10/03/2014
AZIENDA
L'azienda è bene suscettibile di essere usucapito Ai fini della disciplina del possesso e dell'usucapione, l'azienda, quale complesso dei beni organizzati per l'esercizio dell'impresa, deve essere considerata come un bene distinto dai singoli componenti, suscettibile di essere unitariamente posseduto e, nel concorso degli altri elementi indicati dalla legge, usucapito.
Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 05/03/2014, n. 5087
10/03/2014
DANNO NON PATRIMONALE
Il figlio che ha perso il padre prima della nascita ha diritto a essere risarcito di tutti i danni. Il giudice deve liquidare il pregiudizio morale e patrimoniale anche se il richiedente era solo concepito al momento dell’incidente.
Cassazione, sentenza 5509 del 10.3.14
7/03/2014
TRASFERIMENTO RAMO D'AZIENDA
Trasferimento del ramo d’azienda anche se chi subentra resta comunque molto vincolato al cedente. Anche in Italia la successione nel rapporti di lavoro opera nonostante l’alienante conservi un intenso potere di supremazia. La legge nazionale può ben applicare disposizioni più favorevoli ai dipendenti.
Corte Giustizia Europea, sentenza depositata il 6.3.14 relativa alla causa C-458/12
6/03/2014
COMPENSI AVVOCATI
Rimborso delle spese generali in favore dell'avvocato: quali sono le condizioni e i limiti? Con la peculiare sentenza in rassegna la Seconda Sezione della S.C. si è soffermata sulla questione del rimborso per spese generali dovuto a vantaggio dell'avvocato per l'espletamento di prestazioni professionali, chiarendo in quali casi non sia riconoscibile d'ufficio, ma occorra, comunque, l'istanza di parte.Aldo Carrato - Consigliere della Corte di CassazioneCassazione civile Sentenza, Sez. II, 27/02/2014, n. 4748
27/02/2014
ESECUZIONI E PIGNORAMENTI
Processo esecutivo con più creditori e caducazione del titolo del creditore procedente.
Le Sezioni Unite Civili della Suprema Corte di Cassazione (Presidente L.A. Rovelli, Relatore A. Spirito) hanno affermato il principio secondo cui, nel processo di esecuzione forzata al quale partecipino più creditori concorrenti, le vicende relative al titolo esecutivo del creditore procedente (sospensione, sopravvenuta inefficacia, caducazione, estinzione) non possono ostacolare la prosecuzione dell’esecuzione sull’impulso del creditore intervenuto il cui titolo abbia conservato la sua forza esecutiva. Tuttavia, occorre distinguere: a) se l’azione esecutiva si sia arrestata prima o dopo l’intervento, poiché nel primo caso, non esistendo un valido pignoramento al quale gli interventi possano ricollegarsi, il processo esecutivo è improseguibile; b) se il difetto del titolo posto a fondamento dell’azione esecutiva del creditore procedente sia originario o sopravvenuto, posto che solo il primo impedisce che l’azione esecutiva prosegua anche da parte degli interventori titolati, mentre il secondo consente l’estensione in loro favore di tutti gli atti compiuti finché il titolo del creditore procedente ha conservato validità.
Cassazione Civile, Sez. Un., 07 gennaio 2014, n. 61
26/02/2014
PROCEDURA CIVILE
Liquidazione compensi avvocati
Avvocati, la liquidazione dei compensi per prestazioni giudiziali è decisa dal tribunale in composizione collegiale Ai sensi dell'art. 14, D.lgs. n. 150 del 2011, le controversie, previste dall'art. 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, in tema di liquidazione dei compensi dovuti agli avvocati per prestazioni giudiziali sono decise dal tribunale in composizione collegiale. La violazione delle disposizioni sulla composizione collegiale determina la nullità della decisione adottata.
Cassazione civile Ordinanza, Sez. VI, 19/02/2014, n. 3915
21/02/2014
ASSICURAZIONE PROFESSIONALE
Assicurazione professionale: la cassazione "spiega" natura ed efficacia della clausola claim made In una recente decisione la Suprema Corte si sofferma sulla natura ed efficacia della clausola claim made, che, largamente praticata nei contratti di assicurazione della responsabilità professionale, garantisce all'assicurato la copertura assicurativa in tutti i casi in cui la domanda di risarcimento dei danni sia proposta contro l'assicurato nel periodo di validità-efficacia della polizza pur se il comportamento illecito da cui deriva la responsabilità si sia verificato prima della stipulazione del contratto.
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 17/02/2014, n. 3622
17/02/2014
RIFORMA FILIAZIONE
La riforma della filiazione e le inevitabili ricadute sul diritto ereditarioMarianna Varcaccio - Notaio in MilanoLa riforma della normativa relativa al riconoscimento dei figli naturali, con conseguente equiparazione tra figli legittimi e figli naturali, porta con sé inevitabili ricadute sotto il profilo del diritto ereditario.
D.Lgs. 28/12/2013, n. 154, G.U. 08/01/2014, n. 5
14/02/2014
RESPONSABILITÀ CIVILE
Illeciti civili: per il risarcimento si applica il principio della preponderanza dell'evidenza Nel regime dell'illecito civile, vige il principio della preponderanza dell'evidenza, per cui un evento è da ritenere causato da un dato comportamento quando il suo verificarsi per effetto di quel comportamento sia più probabile che non il suo contrario. Lo ha stabilito la Suprema Corte chiamata a pronunciarsi in merito ad una controversia originata dallo sprigionarsi di un incendio in un edificio.
(Cassazione civile Sentenza 11/02/2014, n. 3010)
12/02/2014
PROCEDURA CIVILE
Giudizio in cassazione: quali sono le regole sull'indicazione degli atti e documenti a fondamento del ricorso? In tema di ricorso per cassazione, la nuova previsione dell'art. 366, comma primo, n. 6, c.p.c., oltre a richiedere la "specifica" indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale puntuale indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell'art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., anche che esso sia prodotto in sede di legittimità, con la conseguenza che, in caso di omissione di tale adempimento, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
(Cassazione civile Ordinanza, Sez. VI, 31/01/2014, n. 2174)
10/02/2014
COMPRAVENDITA
Inadempimento del preliminare di vendita immobiliare: i principi guida della CassazioneFrancesco Toschi Vespasiani - Avvocato in FirenzeLa clausola penale non rientra tra i patti che richiedono l'approvazione specifica ex art. 1341 c.c. e non è detto sia vessatoria ai sensi dell'art. 33 c.cons. se di importo pari a quello della prestazione inadempiuta.
(Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 08/01/2014, n. 157 Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 13/01/2014, n. 470)
6/02/2014
APPROVATO IL NUOVO CODICE DEONTOLOGICO FORENSE
Il testo approvato è stato predisposto dalla commissione deontologica coordinata da Stefano Borsacchi e ha tenuto conto delle osservazioni pervenute da Ordini e associazioni in sede di consultazione. Il nuovo Codice sarà presentato ai presidenti dei Consigli dell'Ordine in una riunione dedicata, il 19 febbraio prossimo. Per favorirne la più ampia conoscibilità, la legge forense ne dispone la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: entrerà in vigore 60 giorni dopo.
Pubblichiamo, nell'attesa della presentazione ufficiale del 19 febbraio prossimo, la bozza del Codice elaborato dalla Commissione Borsacchi e inviato agli Ordini per la consultazione.
1) relazione al Codice - Allegato 1 2) indice del Codice - Allegato 2 3) bozza del Codice - Allegato 3
(scarica i pdf)
1.02.2014
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE
In caso di ipoteca sull'immobile il notaio non è obbligato a dissuadere il cliente dall’acquisto
Non incorre in responsabilità per negligenza professionale il notaio che, dopo aver informato gli acquirenti dell'esistenza di un’iscrizione ipotecaria sull’immobile, non dissuade gli stessi dalla stipula dell’atto, in considerazione della rilevante probabilità che a tale formalità pregiudizievole segua il pignoramento immobiliare, non essendo tenuto ad un siffatto adempimento nello svolgimento della propria attività professionale. Lo ha affermato la Corte Appello Palermo Sezione I Civile Sentenza 30 settembre 2013 n. 1423.
31/01/2014
SPESE DI GIUSTIZIA
Se l'impugnazione è inammissibile il contributo unificato va pagato due volte
Dopo l'entrata in vigore della l. 24 dicembre 2012, n. 228, l'inammissibilità, l'improcedibilità o il rigetto integrale dell'impugnazione determinano in capo al soccombente l'obbligo di versare un importo corrispondente al valore del contributo unificato già versato per l'impugnazione proposta.
Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU., 16/01/2014, n. 773 (scarica pdf)
LE ULTIME SENTENZE IN MATERIA DI DIRITTO BANCARIO.
9/12/2015
Anatocismo: il “nuovo” art. 120 T.U.B. non è applicabile in mancanza di delibera CICR di attuazione. Tribunale di Bologna, 9 dicembre 2015
Illegittima l’applicazione bancaria delle clausole anatocistiche a partire dal primo gennaio 2014
In materia di anatocismo bancario, deve ritenersi conforme alle vigenti disposizioni di legge il comportamento dell’istituto che abbia conservato – a seguito della riforma dell’art. 120 T.U.B. – la previsione di clausole anatocistiche nei propri moduli contrattuali e fogli informativi.
Lo ha affermato il Tribunale di Bologna (Giudice dott.ssa Anna Maria Drudi), con ordinanza del 9 dicembre 2015, respingendo il ricorso promosso da un’associazione dei consumatori, ex artt. 37 e 140, comma 8, D.Lgs. 206/2005 (Cod. Cons.), che contestava il mancato adeguamento della Banca convenuta alle disposizioni di cui al “nuovo” art. 120 T.U.B., sul presupposto dell’immediata vigenza del divieto tout court di anatocismo che la norma in questione avrebbe introdotto.
Invero, la citata normativa, come risultante dalle modifiche introdotte con l’art. 1, comma 629, legge 27 dicembre 2013, al comma 2 così testualmente prescrive:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Nonostante il dato letterale richiami espressamente la necessità di un intervento del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, all’indomani della riforma alcune pronunce giurisprudenziali (tra tutte, le note ordinanze del Tribunale di Milano dell’aprile 2015 – cfr. contenuti correlati) avevano sancito l’immediata precettività del tendenziale divieto di anatocismo prescritto dalla norma, “gettando” nell’incertezza l’intero sistema bancario, per l’obiettiva difficoltà di adeguare la documentazione contrattuale ed i sistemi contabili, in assenza di un intervento normativo di dettaglio, nonché per il possibile conflitto tra la disciplina nazionale italiana e quella degli altri paesi membri dell’Unione, con effetti imponderabili sul funzionamento del libero mercato dei capitali.
Il Tribunale di Bologna torna ad evidenziare la “pacificamente infelice” formulazione della nuova disposizione, che alla lettera b) “fa riferimento a “interessi periodicamente capitalizzati” e alle “successive operazioni di capitalizzazione” e, dunque, ad una terminologia tecnica in materia bancaria che univocamente identifica l’operazione di sommatoria ad un capitale dell’interesse fruttato dal medesimo, sicché l’indicazione normativa sembrerebbe comunque permettere quanto meno una prima operazione di capitalizzazione”.
Dall’altro lato, la stessa giurisprudenza favorevole all’immediata operatività del nuovo art. 120 T.U.B. è costretta ad ammettere un “errore” del legislatore e a porre in essere un’attività di sostituzione terminologica (“conteggio” anziché “capitalizzazione”) che sembrerebbe autorizzata dal rilievo per cui lo stesso legislatore, a dimostrazione della “consapevolezza” della distinzione fra i due termini, ha usato il primo (“CONTEGGIO”) solo sub lett. a).
All’incertezza applicativa-interpretativa, si aggiunge la seguente considerazione:
“è lo stesso art. 120 TUB che rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione di interessi, sia pure con i limiti posti da essa normativa primaria, in stretta aderenza al disposto di cui all’art. 161, 5° comma, TUB (non modificato), in forza del quale “Le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”, con ciò sancendo che in tale materia l’iter legislativo non può essere definito/completato se non all’esito dell’emanazione anche della normativa secondaria”.
La necessità di attendere l’intervento del CICR emerge poi - secondo il Tribunale - da una constatazione in termini di certezza giuridica e di applicazione uniforme della nuova disciplina secondo regole precise per tutti (istituti bancari ed utenti), che appare coerente con un mercato aperto ad istituti bancari di altri Stati membri dell’UE e con la circostanza che anche la precedente regolamentazione era stata subordinata alla previa emanazione della delibera CICR del 2000.
D’altronde, “ritenere che “la mancanza della delibera CICR comporta unicamente che allo stato gli intermediari sono liberi di adottare qualunque modalità operativa e contabile...” (Trib. Milano 9.7.15 e Trib. Roma cit.) comporta non solo, del tutto impropriamente, demandare ai singoli istituti bancari la definizione, pur temporanea, della normativa secondaria di competenza del CICR, ma – attesa la pluralità delle soluzioni ipotizzabili in punto, fra gli altri, a perimetro di applicazione del divieto nonché a periodicità del conteggio e al tempo di pagamento degli interessi – generare, in uno con evidenti disparità di trattamento, anche quel così elevato e conseguente contenzioso, che senz’altro il disposto generale di cui all’art. 161 cit. è destinato a prevenire”.
Il Giudice emiliano non manca di sottolineare, infine, che il divieto introdotto dal legislatore non può che intendersi come divieto “regolamentato”, a fronte di una propria scelta e non di una pratica illecita in assoluto, laddove ordinariamente applicata in pressoché tutti gli stati membri europei.
In conclusione – rigettando le doglianze dell’associazione consumeristica – il Tribunale ha optato per la (più prudente e più aderente alle logiche di certezza ed uniformità nell’applicazione del diritto) inapplicabilità dell’art. 120 T.U.B. – nuova formulazione – in assenza dell’intervento normativo di dettaglio da parte del CICR.
ANATOCISMO
31/07/2015
Immediata applicazione dell’art. 120 TUB in materia di anatocismo: respinto il ricorso cautelare di un’associazione dei consumatori - Tribunale di Parma, 30 luglio 2015
Anatocismo: il nuovo art.120, secondo comma T.U.B. e la tutela d’urgenza. Respinto il ricorso di un’associazione dei consumatori
Si aggiunge un nuovo capitolo, questa volta favorevole agli Istituti di Credito, alla breve ma tormentata storia del “nuovo” art. 120 del TUB.
Con ordinanza del 24-30 luglio 2015, il Tribunale di Parma (G.R. dott. Vittoria) ha infatti definitivamente respinto l’iniziativa cautelare promossa da un’associazione dei consumatori contro una primaria banca italiana.
La decisione del Giudice emiliano è rilevante sia perché per la prima volta accoglie, anche all’esito della fase di reclamo, le ragioni della banca; sia perché il provvedimento appare sorretto da un’articolata e convincente motivazione sulla mancanza del requisito del periculum in mora.
In particolare, dopo aver dato conto delle diverse letture del testo normativo (di cui si rimarca la scarsa chiarezza) fornite fino ad oggi dai commentatori, il Tribunale di Parma distingue tra contratti in essere e contratti futuri: in relazione ai primi, non ravvisa alcuna esigenza di cautela, considerato che, anche a voler considerare, ma solo in ipotesi, applicabile la novella legislativa fin dal 1 gennaio 2014, non vi sono comunque elementi per ritenere che la banca non sarebbe in grado di restituire le somme percepite a titolo di interessi anatocistici; in relazione ai secondi, richiama le disposizioni di trasparenza recentemente adottate da Banca d’Italia, che concedono alle banche termine fino al 1 ottobre prossimo per adeguare i contratti e la documentazione di trasparenza, per evidenziare che fino a quella data l’asserito periculum non può dirsi attuale.
24/10/2014
CREDITO
Mutuo fondiario: lecito se stipulato dal mutuatario per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante
Il mutuo fondiario non è qualificabile come un mutuo di scopo, non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall’istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, nè l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili, rustici o urbani, a garanzia ipotecaria.
Ed invero, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili, lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall’immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l’impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell’attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell’economia del contratto.
Pertanto, deve ritenersi lecito il contratto di mutuo fondiario stipulato dal mutuatario, ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. 1 settembre 1993 n. 385 (TUB), per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante.
Cassazione Civile, Sez. III, 12 settembre 2014, n. 19282
23/10/2014
GARANZIE
Fideiussioni omnibus: l’art. 1938 c.c. non si applica alle sole fideiussioni rilasciate a favore di banche
Con ordinanza del 06 ottobre 2014 la Corte d’Appello di Bari ha ribadito il principio affermato già espresso dalla Cassazione con sentenza n. 5951 del 14 marzo 2014, secondo cui in tema di fideiussione, l’art. 1938 cod. civ., come modificato dalla legge 17 febbraio 1992, n. 154, il quale prevede la necessità della determinazione dell’importo massimo garantito per le obbligazioni future, non si applica solo alle fideiussioni rilasciate a favore di banche o di società finanziarie, posto che né lo lettera della norma, né la sua “ratio”, consentono tale limitazione.
Nel farlo, la Corte d’Appello ha ritenuto a tal fine irrilevante la circostanza che la previsione della nullità delle fideiussioni omnibus sia stata introdotta nel codice civile da una legge intitolata “Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari”, e questo per un triplice ordine di motivi:
1. lo scopo della legge in tanto può venire in rilievo ai fini dell’interpretazione della norma, in quanto la lettera di quest’ultima sia ambigua;
2. “l’intenzione del legislatore” dì cui è menzione nell’art. 12 disp. prel. c.c. va intesa come volontà oggettiva della norma (c.d. voluntas legis), e non come volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa (c.d. voluntas legislatoris);
3. dai lavori preparatori della legge n. 154/92 (oggi abrogata dall’art. 161 d. Igs. 10 settembre 1993, n. 385, fatta eccezione per l’art. 10) non vi è alcuno spunto che corrobori la tesi contraria.
Per tali motivi, conclude la Corte d’Appello, deve ragionevolmente concludersi che né la lettera della legge, né la sua ratio, consentano di ritenere applicabile l’art. 1938 c.c. alle sole fideiussioni rilasciate a favore di banche.
In attuazione di tale principio la Corte d’Appello ha ritenuto non suscettibile di esecutività in Italia un provvedimento sommario olandese di condanna al pagamento di una somma di denaro emesso in attuazione di una garanzia per debiti futuri (concessa da società italiana per debiti di controllate olandesi e regolata dal diritto olandese), priva dell’indicazione dell’ammontare massimo garantito, e per ciò da ritenersi nulla per contrarietà all’ordine pubblico ai sensi dell’art. 1938 cc.
Corte d'Appello di Bari, Sez. I, 06 ottobre 2014
25/03/2014
ASSEGNO BANCARIO
La banca risarcisce il cliente enunciando apposito principio di diritto, la Suprema Corte, in una recente decisione, ha affrontato la questione relativa alla sussistenza di una responsabilità della banca per il danno patito dal correntista apparentemente traente il titolo a fronte del pagamento da parte dell'istituto creditizio di un assegno bancario falsificato nella firma di traenza che presentava un "tracciato assolutamente piatto".
Nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza - la quale presenti, nella specie, “un tracciato assolutamente piatto” - la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell'accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata, alla stregua del paradigma di cui al secondo comma dell'art. 1176 cod. civ. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la rispondenza al predetto paradigma della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando così un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto e caso per caso, il grado di esigibilità della diligenza stessa; verifica che, di regola, verrà a svolgersi in base ad un apprezzamento rivolto a verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo, o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche.Questo il principio di diritto espressamente enunciato dalla Suprema Corte in una recente pronuncia. La specifica questione oggetto di scrutinio da parte del giudice di legittimità aveva ad oggetto l'accertamento della responsabilità della banca per il danno patito da un correntista apparentemente traente del titolo a fronte del pagamento da parte dell'istituto di un assegno bancario falsificato nella firma di traenza che presentava un tracciato assolutamente piatto.
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 20/03/2014, n. 6513
17/01/2014
OBBLIGAZIONI LEHMAN BROTHERS - PREVEDIBILITA' DEL DEFAULT - ESCLUSIONE.
Il tracollo di Lehman Brothers fu evento del tutto imprevedibile per gli Istituti di credito perché l’unico indice universalmente valido per apprezzare il grado di rischio del titolo era il rating e questo aveva continuato a segnalare la stabilità finanziaria della banca fino a poco prima della dichiarazione della crisi.
Tribunale Firenze 17 gennaio 2014
USURA ED INTERESSI MORATORI
La questione dell’eventuale ricomprensione degli interessi moratori nel calcolo del carico economico ai fini del riscontro di usurarietà del negozio si manifesta di particolare rilevanza, sì che il suo esame va senz’altro rimesso alla valutazione del Collegio di Coordinamento.
ABF Roma 17 gennaio 2014, n. 260 - Pres. Marziale - Est. Sirena
15/01/2014
CONTRATTI
Contratto quadro: la mancata sottoscrizione della banca non comporta la nullità ex art. 23 TUF
Con la sentenza n. 14268 del 13 novembre 2013 il Tribunale di Milano si è espresso relativamente al tema della rilevanza della sottoscrizione della banca ai fini del rispetto dell’obbligo di forma scritta sancito dall’art. 23 TUF per il contratto quadro in materia di servizi di investimento.In particolare, il Tribunale ha affermato il principio secondo cui la prescrizione della forma scritta a pena di nullità dei contratti bancari e finanziari può ritenersi rispettata quando il contratto redatto in forma scritta sia sottoscritto dal cliente, nel cui interesse tale forma è sancita. In tal senso, la mancanza della sottoscrizione della banca è circostanza di per sé inidonea ad inficiare la validità del contratto quadro, atteso che la prescritta redazione per iscritto dello stesso contratto deve intendersi quale forma c.d. di protezione in favore del cliente, da ritenersi rispettata se sottoscritta dal cliente.
Tribunale di Milano, 13 novembre 2013, n. 14268
LE ULTIME SENTENZE IN MATERIA DI DIRITTO DELLE IMPRESE.
8/10/2015
Tribunale di Milano
MODALITÀ DI ESERCIZIO DEL DIRITTO DEL SOCIO DI S.R.L. ALLA CONSULTAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE SOCIALE AI SENSI DELL’ART.2476
Le domande volte all’accertamento del diritto del socio di s.r.l. a consultare la documentazione sociale e alla condanna della s.r.l. a mettere a disposizione del socio la documentazione stessa, sono formulabili indipendentemente dall’esercizio da parte del socio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore.
Il diritto del socio di s.r.l. a consultare la documentazione sociale sancito dall’art.2476 c.c. costituisce manifestazione di un potere di controllo individuale del socio ed essendo riconosciuto anche – ma non necessariamente – a corredo della sua legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, può essere fatto valere anche direttamente nei confronti dell’ente.
Tra le modalità di esercizio del diritto di consultazione, così come sancito dall’art.2476 c.c., individuate con applicazione del principio di buona fede, vi rientrano la consultazione e l’estrazione di copia della documentazione sociale. Questa ultima attività appare connaturata all’effettività del diritto di controllo del socio che, in caso contrario, sarebbe limitato o richiederebbe modalità eccessivamente onerose o non esaustive.
6/08/2015
Tribunale di Milano
AUMENTO DI CAPITALE DI S.R.L., ASSENZA ASSOLUTA DI INFORMAZIONE E ABUSO DI MAGGIORANZA
Nell’ipotesi di delibera assembleare di s.r.l., la “assenza assoluta di informazione” deve essere riferita al procedimento di convocazione in senso proprio e si risolve nel medesimo vizio di nullità previsto per le s.p.a. inerente alla completa mancanza di convocazione.
Ai fini della validità non è richiesto che l’ordine del giorno contenga analitiche informazioni circa le ragioni delle proposte ivi inserite, essendo sufficiente che la convocazione individui univocamente gli argomenti destinati ad essere approfonditi nella discussione assembleare, fornendo un elenco preciso delle materie da trattare, come del resto richiesto espressamente dall’art. 2366 c.c., primo comma, in tema di s.p.a.
Affinché sia configurabile il vizio di abuso di potere di una delibera di aumento di capitale è onere dell’attore impugnante portare indici di carattere univoco quanto alla dimostrazione di una finalità della delibera di aumento del capitale esclusivamente nel senso della diluizione della partecipazione di minoranza ovvero nel senso di vantaggio ingiustificato per il socio di maggioranza in danno dell’altro.
La previsione di aumento di capitale a pagamento non preclude ai soci la possibilità di sottoscrivere lo stesso a mezzo di compensazione, la previsione di aumento “a pagamento” non comportando affatto l’obbligo di conferimento in denaro ma descrivendo piuttosto il carattere “non gratuito” dell’aumento.
Il carattere “alla pari” (id est senza il cosiddetto sovrapprezzo) dell’aumento non presenta di per sé alcun carattere abusivo laddove il relativo diritto d’opzione sia riservato a tutti i soci, in particola la disciplina ex art.2441 cc prevedendo un prezzo di emissione delle azioni calcolato non in riferimento al valore nominale ma al patrimonio netto (e, dunque, un sovrapprezzo rispetto al nominale) solo per il caso di esclusione o limitazione del diritto di opzione dei soci.
Non può considerarsi neppure astrattamente in conflitto di interesse rispetto a una delibera di aumento di capitale il socio di maggioranza di una s.r.l., unico votante a favore, per il fatto di determinare una diluizione nella partecipazione del socio di minoranza, atteso che nell’ambito delle s.r.l. non è prevista alcuna soglia di legittimazione né per l’esercizio dei poteri di controllo ex art. 2476 secondo comma c.c., né per la richiesta di revoca giudiziale degli amministratori in presenza di “gravi irregolarità” gestorie.
22/02/2014
Società a responsabilità limitata - Costituzione - In genere - Intestazione fiduciaria di quote di partecipazione ad una costituenda società di capitali - Contratto - Forma - Atto pubblico - Necessità - Esclusione.Società a responsabilità limitata - Costituzione - Atto costitutivo - Modificazioni - Aumento del capitale - Diritto di opzione - Domanda giudiziale afferente l'esercizio del diritto - Litisconsorzio necessario con gli altri soci - Insussistenza - Ragioni.Sentenza - Ultra ed extra petita - Domanda ex art. 2932 cod. civ. - Pronuncia di condanna a contrarre - Extrapetizione - Configurabilità - Esclusione - Fondamento.
Il contratto con il quale, in vista della stipulazione dell'atto costitutivo di una società di capitali, si convenga tra uno dei futuri costituenti ed un terzo che una quota di partecipazione in detta società sarà intestata fiduciariamente, con l'obbligo per il fiduciario di darne conto al fiduciante e di trasferirgli eventualmente in seguito la titolarità della quota, non richiede per la sua validità la forma pubblica prescritta per l'atto costitutivo della società. (massima ufficiale)L'esercizio del diritto di opzione che il socio, in ipotesi di aumento di capitale, può vantare nei confronti della società, le cui azioni o quote egli ha titolo per sottoscrivere, pur suscettibile di riflettersi, in concreto, sull'interesse degli altri soci nella misura in cui ne possa risultare modificato il rapporto proporzionale di partecipazione al capitale della società, non consente a questi ultimi, quali titolari di un siffatto interesse (di mero fatto), di assumere la veste di contraddittori necessari nel giudizio volto a farlo valere, il quale investe unicamente il rapporto intercorrente tra colui che si pretende titolare del diritto di opzione e la società, sulle cui azioni o quote l'opzione è destinata ad esercitarsi, e non si atteggia quindi come controversia tra soci. (massima ufficiale)La sentenza di condanna ad un "facere" (nella specie, consistente nel trasferire al fiduciante la titolarità anche formale della quota societaria intestata al fiduciario) è diversa da quella costitutiva, prevista dall'art. 2932 cod. civ., perché, a differenza di quest'ultima, non produce di per se stessa l'effetto traslativo invocato dalla parte, ma impone alla controparte di svolgere l'attività negoziale necessaria alla produzione di quell'effetto; tuttavia, la condanna a contrarre non eccede i limiti della cognizione del giudice adito con la domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di contrarre, ponendosi rispetto a questa come minore a maggiore, onde non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice di merito che, sull'istanza formulata ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., pronunci condanna allo svolgimento dell'attività negoziale necessaria alla produzione del richiesto effetto traslativo. (massima ufficiale)
Cassazione civile, sez. I 20 febbraio 2013, n. 4184 - - Pres., est. Rordorf
12/02/2014
ASSEMBLEA DEGLI OBBLIGAZIONISTI E CONFLITTO DI INTERESSI
Il conflitto di interessi in materia di delibera degli obbligazionisti di s.p.a. non è specificamente disciplinato dal codice civile; tuttavia è ricavabile nell’ordinamento societario un principio generale che vale a regolare le ipotesi di conflitto di interessi nelle decisioni di tutti gli organi assembleari (o collegiali) che, facendo leva sulle disposizioni di cui agli artt. 2373, 2475-ter, co. 2° e 2479-ter co. 2°, stabilisce che il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione (sia essa una delibera dell’assemblea dei soci, del consiglio di amministrazione o anche dell’assemblea degli obbligazionisti).L’invalidità dell’atto è, in dette ipotesi, subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto di interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, anche in via meramente potenziale.
Tribunale di Milano sentenza n. 629/2014 (scarica pdf)
31/01/2014
IMPUGNAZIONE DI DELIBERA DA PARTE DEL COLLEGIO SINDACALE E IRREGOLARE CONVOCAZIONE DI ASSEMBLEA DI S.R.L.
L’art. 2479, primo comma, c.c. prevede la possibilità di deliberare sugli argomenti proposti da tanti soci che rappresentino almeno un terzo del capitale sociale, nonché il diritto degli stessi, strumentale, di convocare l’assemblea.La carenza del potere di convocazione dell’assemblea dei soci rientra in un’ipotesi di violazione delle disposizioni legali e statutarie disciplinanti il procedimento di formazione della volontà dei soci, la cui osservanza costituisce il presupposto affinché detta volontà possa validamente formarsi ed essere imputata alla società. L’eventuale deliberazione assembleare assunta in difetto di regolare convocazione (e salvo che la stessa abbia un oggetto illecito o impossibile), deve ritenersi riconducibile al disposto di cui all’articolo 2479 – ter, primo comma, c.c., e quindi impugnabile nel termine di 90 giorni dalla trascrizione nel libro soci.
Tribunale di Milano sentenza n. 1471/2014 (scarica pdf)
23/01/2014
CLAUSOLA COMPROMISSORIA TRA SOCIETÀ E SOCIO E NULLITÀ DEL DECRETO INGIUNTIVO OTTENUTO IN VIOLAZIONE DELLA CLAUSOLA STESSA
L’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti “inaudita altera parte”), ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri.La stessa clausola, in una controversia tra una società e una sua ex socia, appare opponibile alla socia stessa in riferimento a tutte le controversie che trovano la loro matrice nel rapporto sociale, anche se insorte in tempo successivo all’esaurimento del rapporto
Tribunale di Milano sentenza n. 1067/2014 (scarica pdf)
23/01/2014
RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI S.R.L. E SOLIDARIETÀ
Può ritenersi sussistente la responsabilità di un amministratore di società a responsabilità limitata, ai sensi dell’art. 2476, co. 1°, cod. civ., quando dalla condotta commissiva od omissiva a lui imputata sia derivato, in via immediata e diretta, un concreto danno al patrimonio della società.La responsabilità dei consiglieri di amministrazione è sì solidale, ma pur sempre per colpa; può, pertanto, rimproverarsi ad un membro del consiglio un atto pregiudizievole commesso da un altro consigliere solamente in quanto non consti positivamente che quell’atto è esclusivamente imputabile al secondo e sia rimasto tutto interno alla sua sfera di condotta, senza transitare da alcun processo decisionale consiliare.
Tribunale di Milano sentenza n. 1060/2014 (scarica pdf)
23/12/2014
LEGITTIMAZIONE AD AGIRE DEL SOCIO E LIMITI ALL’ESERCIZIO DEL DIRITTO DI ACCESSO ALLA DOCUMENTAZIONE SOCIALE NELLA S.R.L.
Non perde la legittimazione ad agire il socio che ha esercitato il diritto di opzione a vendere la propria partecipazione sociale, se il trasferimento delle quote non si è ancora perfezionato.L’esercizio da parte del socio del diritto previsto dall’art. 2476 c.c. di accesso alla documentazione sociale può essere subordinato dalla società alla sottoscrizione di un impegno di riservatezza, in applicazione del canone di buona fede che deve regolare i rapporti in ambito sociale. La documentazione consultata va infatti utilizzata solo nei rapporti con la società, ovvero in vista di eventuali azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, costituendo il diritto in parola la manifestazione del potere del socio di controllo sulla gestione. Tale conclusione è avvalorata dall’analogo obbligo di riservatezza sui dati appresi in ambito sociale da parte dei componenti del collegio sindacale, i quali, a mente dell’art. 2407 c.c., sono tenuti al segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza. (scarica pdf)
LE ULTIME SENTENZE IN MATERIA DI DIRITTO FALLIMENTARE
NOVITA' LEGISLATIVE.
17/03/2017
Tribunale di Venezia – Misure di prevenzione e buona fede del creditore ipotecario.
Creditore ipotecario – Misure di prevenzione patrimoniale – Prova della buona fede – Necessità
In tema di misure di prevenzione patrimoniale, ai fini della opponibilità di un diritto di garanzia reale sul bene oggetto di confisca, non è sufficiente che l’ipoteca sia anteriore al sequestro e al provvedimento ablativo, ma è anche necessario che il creditore dimostri di essere stato in buona fede, essendo il suo affidamento incolpevole stato ingenerato da una oggettiva apparenza, tale da rendere scusabile il suo difetto di diligenza. In applicazione del principio la Suprema Corte ha escluso la buona fede in un’ipotesi di credito vantato da istituto bancario che aveva concesso un mutuo fondiario nella consapevolezza che il soggetto destinatario era diverso da quello apparente, che il prezzo indicato nel contratto d’acquisto dell’immobile non era quello reale e che la garanzia era stata fornita mediante operazione in contrasto con la direttiva europea in materia di antiriciclaggio – Cass. Sez. penale II n. 41353 del 14.10.2015.
7/03/2017
Cassazione civile, sez. I, 07 marzo 2017, n.5677
Fallimento – Dichiarazione – Procedimento – Giurisdizione – Trasferimento di sede non seguito dal trasferimento effettivo dell'attività imprenditoriale
Concordato preventivo – Scopo di differire la dichiarazione di fallimento – Abuso del processo – Utilizzo di strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate
L'istanza di fallimento presentata nei confronti di una società di capitali, già costituita in Italia, che abbia trasferito la sede legale all'estero dopo il manifestarsi della crisi d'impresa rientra nella giurisdizione del giudice italiano se il trasferimento di sede non sia stato seguito dal trasferimento effettivo dell'attività imprenditoriale, sì da risolversi in un atto meramente formale. La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo; il quale abuso in generale ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti.
28/02/2017
Cassazione civile, sez. I, 28 Febbraio 2017, n. 5069 – Antonio Didone, pres. – Francesco Terrusi, rel.
Società in accomandita semplice – Estensione del fallimento al socio illimitatamente responsabile – Atti gestori del socio con procura institoria. Termine annuale di cui all'art. 147 l.f. - Decorrenza
Il fallimento della società in accomandita semplice va esteso, ex art. 147 l.f., anche all'accomandante cui siano state conferite procure denominate speciali ma talmente ampie da consentire l’effettiva sostituzione all'amministratore nella sfera delle delibere di competenza di questi. Ciò a maggior motivo qualora sia stata conferita una procura institoria, in ragione dell’essere il titolare di una simile procura preposto all'esercizio dell’impresa con facoltà di compimento di tutti gli atti pertinenti al detto esercizio (artt. 2203 e 2204 c.c.), salve le eventuali limitazioni contenute nella procura. (Nel caso specifico erano stati individuati specifici e significativi atti dell’ingerenza nella gestione della s.a.s. quali compravendite immobiliari, istanze di rilascio di concessioni edilizie, rilascio di mandati ad litem e, soprattutto, un atto di vendita di quote sociali avente influenza decisiva amministrazione della società).
Il termine annuale di cui all'art. 147 l.f. non decorre né dalla data del recesso, né da quella della dichiarazione di fallimento della società, che non scioglie il vincolo fra i soci, ma unicamente dal giorno in cui lo scioglimento del rapporto sociale con il socio viene portato a conoscenza dei creditori con idonee forme di pubblicità.
27/02/2017
Concordato preventivo: valutazione di fattibilità di competenza del giudice e valutazione di convenienza riservata ai creditori.
Corte di Cassazione, Sez. I civ., 27 febbraio 2017 n. 4915 - Pres. Anello Nappi, Rel. Francesco Terrusi.
Il giudice, nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca od omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo, ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sulla proposta, non restando il sindacato di fattibilità, volto a stabilirne l’idoneità della proposta ad assicurare la rimozione dello stato di crisi mediante soddisfazione in una qualche misura dei crediti rappresentati, ossia l’effettiva realizzabilità della causa concreta del concordato, escluso dall’attestazione del professionista. Rimane, invece, riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito di detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Ne consegue che la verifica di fattibilità, proprio in quanto correlata al controllo della causa concreta del concordato, comprende necessariamente anche un giudizio di idoneità, che va svolto rispetto all’assetto di interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici che il concordato persegue - cfr. Corte di Cassazione, SS. UU. 23 gennaio 2013 (nello specifico la Suprema Corte ha cassato con rinvio l’impugnata sentenza della Corte d’Appello, che aveva revocato il fallimento della società che il Tribunale aveva dichiarato avendo ritenuto inammissibile una proposta di concordato dalla stessa presentata, nel rilievo afferente il supposto limite del potere di sindacato giudiziale, nella misura in cui essa aveva negato che il giudice potesse estendere il suo esame alla ritenuta idoneità del piano e dell’attestazione del professionista in rapporto ai singoli punti sui quali il piano era stato articolato).
15/02/2017
Cassazione civile, sez. I, 15 febbraio 2017, n.4021.
Fallimento - Chiusura della procedura - Mancata presentazione di domande di ammissione al passivo
L’ipotesi di chiusura del fallimento di cui al numero 1 dell’articolo 118 legge fall. (mancata presentazione di domande di ammissione al passivo nel termine stabilito dalla sentenza di fallimento) configura una fattispecie di inutilità della pendenza della procedura in carenza di domande, ma non esclude affatto la possibilità della prosecuzione, ove queste siano comunque presentate prima del decreto di chiusura, purché non sussistano altre condizioni per la cessazione della procedura quali, ad esempio, l’impossibilità di soddisfare neppure in parte i creditori concorsuali e le spese di procedura.
8/02/2017
Cassazione civile, sez. VI, 08 febbraio 2017, n.3299.
Fallimento – Azione revocatoria fallimentare – Prova della scientia decoctionis da parte dell’accipiens – Per deduzione – Articoli di stampa – Valore di circostanze indiziarie – Sussiste
Va affermata la piena idoneità della mera pubblicazione degli articoli di stampa a costituire indizio da cui – assieme ad altri - poter trarre la prova della sussistenza della scientia decoctionis da parte dell’accipiens.L’inesistenza di un dovere di lettura della stampa non esclude che, in concreto, secondo l’id quod plerumque accidit, una notevole parte della popolazione sia solita consultare la stampa ed informarsi da quanto essa pubblica.
27/01/2017
Tribunale Lucca
Concordato preventivo – Effetti – Pagamenti in esecuzione di contratti in corso – Efficacia – Esclusione – Limiti
I pagamenti effettuati dall'imprenditore ammesso alla procedura di concordato preventivo, relativi a debiti sorti anteriormente all'inizio della procedura da contratti per il resto esauriti, non si sottraggono alla regola dell’inefficacia a meno che siano stati autorizzati dal giudice delegato ai sensi dell’art. 167 l. fall.
25/01/2017
Tribunale Torino
Concordato preventivo - Incapienza dei crediti privilegiati speciali e generali
Concordato preventivo - Utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile - Ratio - Natura vincolante della proposta
L'applicabilità dell'art. 160, secondo comma, l.fall. non va limitata si soli crediti assistiti da privilegio speciale, nella parte in cui il credito sia incapiente, ma estesa anche ai crediti muniti di privilegio generale, sempre nella misura in cui tale credito risulti capiente. Al creditore privilegiato deve essere garantito almeno ciò che incasserebbe dalla vendita del cespite, secondo un calcolo da effettuarsi nel rispetto delle cause legittime di prelazione esistenti alla data di apertura del concorso.
L'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore è rispettata quanto la debitrice presenta una proposta vincolante, potenzialmente idonea a garantire il soddisfacimento promesso ai creditori. La ratio della norma è quella di scongiurare la presentazione di domande che lascino del tutto indeterminato ed aleatorio il conseguimento di una utilità specifica per i creditori e va intesa nella necessità che l'attuazione del piano concordatario sia prospettata dalla debitrice e attestata dal professionista in termini di ragionevole certezza.
25/01/2017
Tribunale Torino
concordato preventivo – Concordato con riserva – Divieto di pagamento dei professionisti
Durante il periodo di concordato con riserva e fino alla omologazione è vietato il pagamento dell’attestatore e degli altri professionisti incaricati della preparazione della domanda di concordato preventivo.
24/01/2017
Tribunale Verbania
Atti pregiudizievoli ai creditori - Azione revocatoria ordinaria - Presupposti - Eventus damni - Consilium fraudis
I presupposti dell’azione revocatoria ai sensi dell'art. 2901 c.c. sono: la sussistenza di un credito in capo al revocante (che può essere illiquido, a termine, condizionato, eventuale ed anche litigioso); un atto di disposizione che consenta di ritenere integrato un pregiudizio delle ragioni creditorie (eventus damni) e la consapevolezza da parte del debitore di ledere la garanzia del creditore, e, infine, trattandosi di atto a titolo oneroso non anteriore al sorgere del credito, la consapevolezza da parte del terzo acquirente del pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni creditorie (c.d. consilium fraudis).
Il pregiudizio ai fini dell’accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria non si identifica con la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, essendo sufficiente il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso.
Il requisito della consapevolezza del terzo acquirente del pregiudizio arrecato dall’atto dispositivo alle ragioni del creditore dell’alienante prescinde dalla specifica conoscenza del credito a tutela del quale l’azione revocatoria viene esperita investendo invece la riduzione delle garanzie offerte dal debitore, in relazione alla consistenza patrimoniale complessivamente considerata ed ai vincoli gia’ esistenti nei confronti di altri creditori (Cass. 2303/1996).
La prova del c.d. consilium fraudis può essere fondata anche su presunzioni semplici (cfr. fra le tante Cass. Sez III, 19.7.2004; cass. Sez III, 21.4.2006 n. 9367) ma la dimostrazione della consapevolezza da parte del terzo degli effetti pregiudizievoli della vendita per il creditore non può prescindere dal riferimento alla situazione patrimoniale complessiva del debitore.
27/12/2016
Cassazione Sez. Un. Civili, 27 dicembre 2016, n.26989.
Accordo di ristrutturazione dei debiti - Omologazione - Reclamo ex art. 183 l.f. - Decreto della corte d'appello - Ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. - Ammissibilità
Accordo di ristrutturazione dei debiti - Omologazione - Reclamo ex art. 183 l.f. - Decreto della corte d'appello - Ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. - Legittimazione passiva del pubblico ministero - Esclusione
Il decreto con cui la corte d'appello, decidendo sul reclamo ai sensi dell'art. 183, comma 1, richiamato dall'art. 182-bis, comma 5, legge fallim., provvede in senso positivo o negativo in ordine all'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, ha carattere decisorio ed è pertanto soggetto, non essendo previsti altri mezzi d'impugnazione, a ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost.
In caso di ricorso per cassazione del debitore avverso il decreto con cui la corte d'appello, provvedendo sul reclamo ai sensi dell'art. 183, comma 1, richiamato dall'art. 182-bis, comma 5, legge fallim., nega l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti, la legittimazione passiva non spetta al pubblico ministero, essendo questo privo del potere d'impugnazione del provvedimento, bensì ai creditori per titolo e causa anteriori alla data di pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese, ai quali si riferiscono gli effetti dell'accordo stesso, nonché agli altri interessati che abbiano proposto opposizione.
23/12/2016
Cassazione civile, sez. I, 23 dicembre 2016, n.26944.
Fallimento – Socio occulto – Estensione – Ammissione al passivo quale creditore - Irrilevanza
L’ammissione, in via definitiva, del socio al passivo del fallimento della società non impedisce la successiva estensione al medesimo del fallimento ai sensi dell’art. 147 legge fall., qualora ne venga accertata la veste di socio occulto illimitatamente responsabile.
21/12/2016
Cassazione civile, sez. VI, 21 dicembre 2016, n.26639.
Opposizione allo stato passivo - Documentazione già depositata in sede di verifica del passivo - Riferimento per relationem ed istanza di acquisizione - Interpretazione dell’istanza come autorizzazione al ritiro della documentazione ex art. 90 l.f.
Il giudizio di opposizione allo stato passivo è regolato dal principio dispositivo, sicché al creditore, la cui domanda ex art. 93 legge fallim. sia stata respinta dal giudice delegato, è fatto onere di produrre nuovamente, dinanzi al tribunale, nel corrispondente procedimento ex art. 99 legge fall., la documentazione già depositata in sede di verifica del passivo, che non può essere acquisita ex officio.
Peraltro, qualora l'opponente abbia tempestivamente indicato in ricorso la documentazione di cui intende avvalersi, facendo riferimento per relationem a quanto già prodotto davanti al giudice delegato con formula non di stile, tale da non lasciare dubbi sull'identità degli atti su cui vuole fondare l'opposizione, e ne abbia contestualmente formulato istanza di acquisizione, non è ravvisabile alcuna sua negligente inerzia idonea a giustificare il rigetto del ricorso per inosservanza dell'onere della prova, potendo quell'istanza essere interpretata come autorizzazione al ritiro della documentazione ex art. 90 legge fall., applicabile in virtù della sua portata generale anche al procedimento di opposizione allo stato passivo (Cass. 16101/2014). Né può accogliersi la tesi secondo cui la richiesta stessa, non essendo stata riproposta all'udienza di comparizione e all'udienza di discussione, doveva ritenersi rinunziata, posto che una tale implicita rinunzia non è ricavabile da alcuna norma, tenuto conto del carattere camerale del procedimento di opposizione allo stato passivo, al quale non si applica, in linea di principio, la disciplina del giudizio ordinario), oltre che della richiesta di acquisizione documentale formulata nel caso di specie dall'opponente all'udienza di comparizione.
16/11/2016
Cassazione Sez. Un. Civili, 16 novembre 2016, n.23302.
Riscossione delle imposte - Società concessionaria del servizio - Fallimento - Somme riscosse e depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti - Domanda del curatore di accertamento di spettanza alla massa - Giurisdizione della Corte dei conti - Sussistenza - Fondamento
La società concessionaria del servizio di riscossione delle imposte può qualificarsi come contabile, essendo un agente incaricato, in virtù di una concessione contratto, di riscuotere danaro di spettanza dello Stato o di enti pubblici e del quale la stessa ha il maneggio nel periodo compreso tra la riscossione ed il versamento. Ne consegue che, allorquando tale società, cessato il rapporto concessorio, sia stata dichiarata fallita, la domanda con la quale il curatore chiede l'accertamento della spettanza alla massa fallimentare delle somme riscosse e depositate presso la Cassa Depositi e Prestiti è devoluta alla giurisdizione contenziosa della Corte dei conti, essendo questa l'autorità giurisdizionale deputata - in base alle norme degli artt. 13 e 44 del r.d. n. 1214 del 1934 ed alle successive di cui al d.P.R. n. 603 del 1973 ed al d.P.R. n. 858 del 1963, le quali non risultano abrogate dalla l. n. 657 del 1986 e dal successivo d.P.R. n. 43 del 1988 - alla verifica dei rapporti di dare ed avere tra esattore delle imposte ed ente impositore e del risultato contabile finale di detti rapporti. (massima ufficiale)
15/11/2016
Cassazione civile, sez. VI, 15 novembre 2016, n.23264.
Fallimento - Reclamo - Effetto devolutivo pieno - Fatti nuovi - Preclusione - Fattispecie
Nonostante il reclamo ex articolo 18 legge fall. comporti il c.d. effetto devolutivo pieno della controversia alla corte d’appello, quest’ultima non può prendere in considerazione elementi di fatto diversi, in quanto successivamente venuti ad esistenza, da quelli offerti con la proposta di concordato sui quali il tribunale si era pronunciato.
(Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha ritenuto priva di rilevanza una nuova proposta d’acquisto formulata da un terzo in quanto formulata successivamente all’udienza in cui il tribunale era stato chiamato a pronunciarsi sulla domanda di fallimento.)
23/09/2016
Cassazione civile, sez. I, 23 settembre 2016, n.18704.
Fallimento - Concordato preventivo - Ammissione - Mancato versamento del deposito - Conseguenze - Revoca dell'ammissione al concordato - Procedimento applicabile
L'omesso deposito della somma di cui all'art. 163, comma 3, l.fall., come quantificata nel decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo, innesta, attraverso l'informativa del commissario giudiziale al tribunale, il subprocedimento di revoca dell'ammissione a quella procedura, ex art. 173 l.fall., che si articola in due fasi: la prima, necessaria ed officiosa, nel corso della quale il tribunale verifica la sussistenza dei requisiti per l'adozione del provvedimento; la seconda, eventuale e ad impulso di parte, che può condurre alla dichiarazione di fallimento, ove ne ricorrano i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.fall.
22/09/2016
Cassazione civile, sez. I, 22 settembre 2016, n.18558.
Concordato preventivo - Decreto d’inammissibilità - Impugnazione - Successiva dichiarazione di fallimento - Impugnazione - Rapporto tra i due procedimenti
Nonostante sia già stata rimessa alle Sezioni Unite la questione della impugnabilità per cassazione del decreto d’inammissibilità della proposta di concordato senza contestuale dichiarazione di fallimento, rimane tuttavia il problema della definizione del ricorso per cassazione che sia stato già eventualmente proposto nel caso in cui sopravvenga la dichiarazione di fallimento, la cui impugnazione potrebbe includere anche la contestazione della dichiarata inammissibilità del concordato. Se, pertanto, si riterrà che il decreto d’inammissibilità del concordato è autonomamente impugnabile per cassazione, occorrerà chiarire il rapporto tra tale giudizio d’impugnazione e quello distintamente promosso per censurare la dichiarazione di fallimento.
14/09/2016
Cassazione civile, sez. I, 14 settembre 2016, n.18091.
Concordato preventivo – Attestazione – Funzione – Valutazione e controllo del giudice
Concordato preventivo – Fattibilità giuridica – Valutazione del giudice – Oggetto
Concordato preventivo – Oggetto della proposta – Regolazione della crisi – Indicazione delle modalità di soddisfacimento dei crediti – Necessità – Valutazione dei creditori – Informazione – Necessità
Il professionista attestatore, come professionista indipendente, svolge funzioni assimilabili a quelle di un ausiliario del giudice ed all'attestazione deve essere attribuita la funzione di fornire dati, informazioni e valutazioni sulla base di riscontri effettuati dall'interno, elementi tutti che sarebbero altrimenti acquisibili esclusivamente soltanto tramite un consulente tecnico nominato dal giudice.
Da ciò va tratta la conseguenza per la quale va escluso che destinatari naturali della funzione attestatrice siano soltanto i creditori e, viceversa, che il giudicante ben possa discostarsi dal relativo giudizio, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario.
E' certo, peraltro, che il controllo del giudice non è di secondo grado, ossia destinato realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica dell'attestato del professionista, potendo invece estendersi sino alla verifica del collegamento effettivo fra i dati riscontrati ed il conseguente giudizio.
Nel concordato preventivo, al giudice compete di verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all'ammissibilità quando determinate modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili, mentre, laddove entrino in discussione gli aspetti relativi alla fattibilità economica, di ogni rischio si fanno esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto. La proposta di concordato preventivo deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell'esito e della sua convenienza) è rimessa al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati. Giudizio che presuppone che i creditori ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni, incombenti che assumono un ruolo centrale nello svolgimento della procedura in questione ed al cui soddisfacimento sono per l'appunto deputati a provvedere dapprima il professionista attestatore, in funzione dell'ammissibilità al concordato (art. 161 l.f.), e quindi il commissario giudiziale prima dell'adunanza per il voto (art. 172 l.f.).
Concordato preventivo - Liquidatore - Nomina di persona diversa da quella indicata dal debitore - Lesione del diritto del debitore di regolare la propria insolvenza - Esclusione
La nomina del liquidatore giudiziale da parte del tribunale in persona diversa da quella indicata dal proponente il concordato preventivo costituisce attività meramente gestoria rientrante nelle modalità della liquidazione che non muta i termini della proposta approvata, che non lede il diritto del debitore di regolare la propria insolvenza secondo le clausole inserite della proposta ed approvate
(Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto di nominare quale liquidatore giudiziale professionista diverso dal commissario giudiziale, ritenendo l'accumulo delle due funzioni in contrasto col requisito di cui al combinato disposto di cui alla art. 182, comma 2 e art. 28, comma 2, legge fall.) (Franco Benassi) (riproduzione riservata) Cassazione civile, sez. I, 13 settembre 2016, n.17949.
26/08/2016
Cassazione civile, sez. I, 26 agosto 2016, n.17360.
Fallimento – Cessazione dell’attività – Decorrenza – Prova della cessazione in data anteriore – Esclusione
Il termine di un anno, entro il quale l'imprenditore che abbia cessato la sua attività può essere dichiarato fallito, ai sensi dell’art. 10 legge fall. (nel testo modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, e dal D.Lgs. n. 169 del 2007), decorre dalla cancellazione dal registro delle imprese, senza possibilità per l'imprenditore medesimo di dimostrare il momento anteriore dell'effettiva cessazione dell'attività, perché solo dalla suddetta cancellazione la cessazione dell'attività viene formalmente portata a conoscenza dei terzi, salva la possibilità concessa ai creditori e al P.M. di dimostrare che l'attività è di fatto proseguita successivamente.
12/08/2016
Cassazione civile, sez. I, 12 agosto 2016, n.17079.
Concordato preventivo – Fattibilità giuridica e fattibilità economica – Sindacato del giudice – Causa concreta – Fattispecie – Illogicità della relazione dell’attestatore
Concordato preventivo – Relazione dell’attestatore – Acritico recepimento di dati indicati dal proponente – Mancanza di valutazioni su elementi fondamentali
Nel concordato preventivo, il giudice deve controllare la legittimità del giudizio di fattibilità della proposta concordataria, competendo, invece, esclusivamente ai creditori la valutazione della probabilità di successo economico del piano e dei relativi rischi.
Il controllo, da effettuarsi in tutte le fasi in cui si articola la procedura, si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta, da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, priva di contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato, da un lato, al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, e dall'altro, all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori.
(In una fattispecie di concordato con cessione dei beni, la Corte di merito aveva confermato il decreto impugnato, la cui prognosi negativa in ordine all'esito della nuova proposta concordataria si fondava sulla ritenuta manifesta inadeguatezza ed illogicità della relazione dell'attestatore, il quale aveva omesso di spiegare perché un piano, fondato sulla cessione dei beni agli stessi soggetti che non erano stati in grado di acquistarli nel corso di un precedente concordato, potesse trovare realizzazione pochi mesi dopo l'esito negativo di quest'ultimo).
Il professionista deve non soltanto verificare, valutare ed attestare, ma anche riferire le proprie fonti conoscitive e i controlli effettuati specificamente, per giungere alle proprie conclusioni.
(Nel caso di specie, la Corte d'appello aveva condotto la valutazione della relazione, concludendo per la non rispondenza della stessa al tipo ed agli obiettivi di legge, dopo un'approfondita disamina delle verifiche e delle valutazioni effettuate, riscontrando che in gran parte, i dati utilizzati dal professionista erano stati semplicemente recepiti da quanto indicato dalla società debitrice, ovvero da contratti da questa stipulati in vista del concordato, che fondamentali valutazioni erano state espresse in forma dubitativa, o in forma apodittica, e che nessun elemento di giudizio era stato fornito per porre i creditori in grado di valutare l'effettiva realizzabilità dei crediti, costituenti la voce principale del fabbisogno concordatario.)
11/08/2016
Cassazione civile, sez. I, 11 agosto 2016, n.17044.
Fallimento - Azione revocatoria fallimentare - Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie - Pagamenti relativi a rapporti di durata a prestazioni corrispettive - Revocatoria - Ammissibilità - Fondamento - Corrispettivo di una prestazione ricevuta dal "solvens" ovvero rapporto in corso alla data del pagamento - Irrilevanza
Qualsiasi pagamento, ancorché relativo a rapporti di durata a prestazioni corrispettive, è soggetto a revocatoria fallimentare, ai sensi dell'art. 67, comma 2, l.fall. (nel testo anteriore al d.l. n. 35 del 2005, conv. nella l. n. 80 del 2005), in considerazione della natura cosiddetta indennitaria di detta azione, per la quale il pregiudizio che la giustifica è in "re ipsa" e consiste nella lesione della "par condicio creditorum", onde è irrilevante che il pagamento oggetto di revoca costituisca il corrispettivo di una prestazione ricevuta dal "solvens", ovvero il fatto che il rapporto sia ancora in corso alla data del pagamento. (massima ufficiale)
03/08/2016
Cassazione civile, sez. VI, 03 agosto 2016, n.16269.
Concordato preventivo - Commissario giudiziale - Domanda di liquidazione del compenso - Revoca del concordato - Successiva dichiarazione di fallimento - Conseguenze - Improcedibilità - Riproposizione della domanda in sede di accertamento del passivo fallimentare - Necessità
Nel caso di revoca dell'ammissione al concordato preventivo e di successiva dichiarazione di fallimento dell'imprenditore, la domanda di liquidazione del compenso del commissario giudiziale proposta nel corso del procedimento di concordato diviene improcedibile e deve essere riproposta, esaminata e decisa in sede di accertamento del passivo fallimentare. (massima ufficiale)
28/07/2016
Cassazione civile, sez. I, 28 luglio 2016, n.15698.
Fallimento - Effetti - Per il fallito - Beni del fallito - Interessi legittimi e diritti soggettivi acquisiti a seguito di provvedimenti amministrativi - Concessione demaniale marittima - Acquisizione alla massa fallimentare - Mezzi di tutela della P.A.
Per effetto della dichiarazione di fallimento, fatte salve le ipotesi di cui all'art. 46 l.fall. e l'applicazione di normative particolari di diritto amministrativo, tutte le attività del fallito vengono acquisite alla massa, comprese le situazioni di interesse legittimo nei confronti della P.A., ovvero di diritto acquisite per effetto di provvedimenti amministrativi, ivi comprese quelle che sorgono dalla concessione dei beni del demanio marittimo. Non v'è, dunque, necessità di accertamento da parte degli organi fallimentari o di specifica indicazione nella sentenza di omologazione del concordato fallimentare, in quanto l'interesse pubblico risulta tutelato dal potere dell'amministrazione di disporre la revoca o la decadenza della concessione, ai sensi degli art. 42 e 47 cod. nav., e, in caso di vendita o di esecuzione forzata, di dare o non dare il gradimento al subentro nella concessione da parte dell'acquirente o dell'aggiudicatario delle opere o degli impianti costruiti dal concessionario, senza bisogno del consenso di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 46, comma 2, cod. nav. (massima ufficiale)
25/07/2016
Cassazione civile, sez. I, 25 luglio 2016, n.15346.
Fallimento della società di fatto holding - Spendita del nome - Società occulta - Responsabilità da eterodirezione
Nelle società di fatto holding il problema della spendita del nome si pone al fine di stabilire la fallibilità della società di fatto in ragione della sua specifica responsabilità imprenditoriale per le obbligazioni assunte, non anche l'esistenza della società medesima.
Tuttavia, allorquando la società di fatto risponda ai canoni della c.d. società occulta, non ha senso porsi il problema della spendita del nome ai fini del riconoscimento della sua esistenza ed operatività.
Alla stessa conclusione deve giungersi anche quando alla base dell’insolvenza della società di fatto vi è un credito risarcitorio ex art. 2497 c.c..
Difatti, chi esercita l'attività di direzione e coordinamento in modo illecito, approfittando e abusando dei poteri di direzione, ed eludendo per fini propri i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale (art. 2497, 1° comma), risponde non di obbligazioni derivanti da un agire negoziale, in questo senso contratte direttamente (e per le quali potrebbe in astratto valere un problema di spendita del nome), ma di obbligazioni appunto risarcitorie. E trattandosi di responsabilità di tipo esclusivamente risarcitorio (extracontrattuale) per i danni arrecati dall'attività di direzione abusiva, non si pone e non può porsi, un problema di esteriorizzazione, non essendosi dinanzi a obbligazioni "volontarie".
Cassazione civile, sez. VI, 12 luglio 2016, n.14250.
Notificazione dell'istanza di fallimento e della convocazione avanti al tribunale – Irregolarità – Sanatoria per raggiungimento dello scopo
Fallimento – Soggetti fallibili – Società cooperativa – Lucro oggettivo – Fine mutualistico – Esclusione
L'irregolarità della notificazione dell'istanza di fallimento e della convocazione avanti al tribunale per la dichiarazione di fallimento resta sanata ove la notifica sia giunta a buon fine per aver raggiunto lo scopo di portare l'atto a conoscenza del destinatario, e, a maggior ragione, quando il debitore, informato del deposito del ricorso e della fissazione dell'udienza, si sia costituito innanzi al tribunale chiamato a pronunciarsi sulla dichiarazione di fallimento.
Lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l'attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell'attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo), requisito quest'ultimo che, non essendo inconciliabile con il fine mutualistico, ben può essere presente anche in una società cooperativa, pur quando essa operi solo nei confronti dei propri soci. Ne consegue che anche tale società, ove svolga attività commerciale, in caso di insolvenza, può essere assoggettata a fallimento in applicazione dell'art. 2545 terdecies cod. civ.".
Cassazione civile, sez. I, 16 giugno 2016, n.12455.
Fallimento – Requisiti dimensionali – Attivo patrimoniale – Principi contabili – Contenuto del bilancio di esercizio – Risultanze della dichiarazione dei redditi
Il legislatore nell'art. 1, comma 2, lett. a (già nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006 ed ancor più in quello sostituito dal D.Lgs. n. 169 del 2007) fa implicito ma inequivoco richiamo ai principi contabili, dei quali è espressione il disposto dell'art. 2424 c.c. e, nel determinare il contenuto del bilancio di esercizio, indica tra le componenti dell'attivo patrimoniale la voce ratei e risconti attivi, nella quale (cfr. art. 2424 bis c.c., comma 6) debbono iscriversi, tra l'altro, i costi sostenuti nell'esercizio che siano di competenza di esercizi successivi.
Il riferimento al bilancio di esercizio, oltre a trovare riscontro nell'obbligo di deposito previsto dalla L. Fall., artt. 14 e 15, è contenuto nella Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 5 del 2006, e trova spiegazione non solo nella considerazione, ivi espressa, della agevole accertabilità in sede prefallimentare dei dati in esso indicati, ma anche nella generale conoscibilità di tali dati, oltre che nel carattere vincolante dei criteri di valutazione dettati dal legislatore, in corrispondenza peraltro dei principi contabili elaborati dall'Organismo Italiano di Contabilità.
Ai fini della verifica dei presupposti per la dichiarazione di fallimento di cui all’art. 1 legge fall. non è, pertanto, rilevante il riferimento alle risultanze della sola dichiarazione dei redditi.
(Nel caso di specie, il ricorrente ha lamentato che i dati reali, dai quali trarre elementi di giudizio in ordine ai requisiti dimensionali, erano contenuti nella dichiarazione dei redditi e non nel bilancio d’esercizio e che di essi si sarebbe dovuto tener conto anche in considerazione del fatto che il complesso aziendale dell’impresa era stato sottoposto a sequestro.)
Cassazione civile, sez. I, 21 aprile 2016, n.8090.
Azienda - Cessione - Responsabilità del cessionario per debiti futuri - Debito derivante dalla sopravvenuta inefficacia di pagamenti di crediti aziendali risultanti dalla documentazione contabile al momento della cessione dell'azienda
La Prima sezione civile della corte di cassazione ha chiesto alle Sezioni Unite un intervento chiarificatore sulla questione se la cessione dell'azienda comporti comunque per il cessionario l'accollo dei debiti anche futuri di cui risultino i presupposti e, in particolare, dei debiti che nasceranno dalla sopravvenuta dichiarazione di inefficacia di pagamenti di crediti aziendali risultanti dalla documentazione contabile al momento della cessione dell'azienda.
Nell'ordinanza di rimessione si osserva che, secondo la giurisprudenza prevalente, «l'art. 58 del d.lgs. 10 settembre 1993, n. 385, nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità notizia di essa (secondo quanto previsto dal comma 2 dello stesso art. 58), e non la mera aggiunta della responsabilità di quest'ultimo a quella del cedente, deroga all'art. 2560 c.c., su cui prevale in virtù del principio di specialità» (Cass., sez. III, 26 agosto 2014, n. 18258, m. 632303) e comporta perciò il trasferimento anche dei debiti per sanzioni irrogate dopo la cessione per fatti commessi in precedenza (Cass., sez. IL 29 ottobre 2010, n. 22199, m. 614833).
Sennonché, se è indiscutibile che l'art. 58 legge bancaria prevede la liberazione del cedente alla scadenza del termine di tre mesi (Cass., sez. I, 3 maggio 2010, n. 10653, m. 613303), questa deroga non esclude affatto che quello previsto dall'art. 2560 c.c. sia un accollo cumulativo con trasferimento dei debiti al cessionario. E se nel caso della cessione bancaria è la legge a prevedere che ne consegua il trasferimento di tutte le situazioni soggettive attive e passive, non si vede perché un analogo effetto traslativo non debba aversi anche per le cessioni delle altre aziende commerciali, almeno quando sia l'atto di cessione a includere espressamente, come nel caso in esame, «tutte le situazioni attive e passive quali risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute».
02/02/2016
CONCORDATO PREVENTIVO - PROPOSTA
Cessazione dell’attività d’impresa e concordato: inammissibile il mutamento della proposta basato sulla ripresa dell’attività
CORTE D’APPELLO DI FIRENZE
E’ inammissibile la proposta di concordato con continuità aziendale formulata dopo la cessazione dell’attività di impresa: la sola modalità concordataria compatibile con la cessazione dell’attività è quella con finalità liquidatoria, ovvero di dismissione del patrimonio aziendale per sopravvenuta incapacità dell’azienda di proseguire l’attività.(massima)
Configura abuso del mezzo concordatario la scelta di una modalità di concordato non consentita dalla legge e, dunque, come tale giuridicamente non fattibile. (massima)
IL CASO – La vicenda, in sé piuttosto semplice e riducibile a una questione giuridica delimitata, può essere così riassunta: il Tribunale di Arezzo dichiarava inammissibile una domanda di concordato preventivo con continuità aziendale proposta da una s.r.l. dopo la rinuncia in pari data ad altra domanda di concordato, di tipo liquidatorio, per cessazione dell’attività, precedentemente depositata e ammessa (contestualmente veniva altresì dichiarato il fallimento della società). Ciò in virtù della “assoluta e manifesta inattitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati e, dunque, a realizzare la causa concreta del concordato”. Nella proposta liquidatoria (poi ritirata) si affermava l’impossibilità di proseguire l’attività d’impresa, ormai cessata da due anni, e, pertanto, diveniva contraddittorio fondare la nuova proposta – teoricamente ammissibile dopo la revoca della prima, ribadiva il tribunale – su una auspicata ripresa dell’attività medesima grazie ad un promesso (ma non formalizzato) finanziamento del socio (di soli euro 20.000) in due soluzioni.
08/01/2016
CONCORDATO PREVENTIVOINAMMISSIBILITÀ DELLA PROPOSTA
Inammissibilità della proposta di concordato preventivo e fallimento
CORTE D’APPELLO DI BRESCIA
Quando la procedura per la dichiarazione di fallimento è rimasta aperta per alcuni mesi (nella specie oltre quattro) nel corso dei quali la società, poi fallita, non ha in alcun modo anticipato o fatto intendere la propria volontà di presentare ricorso per l’ammissione a concordato preventivo né tale volontà è stata esternata all’udienza ad esito della quale il relatore si è riservato di riferire al collegio e, successivamente a detta udienza, è stata proposta domanda di concordato, tale condotta del debitore, unitamente alle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio disposta nell’ambito della procedura per la dichiarazione di fallimento da cui è emersa con lampante certezza l’inevitabilità del fallimento, palesa con assoluta inequivocità che il ricorso per l’ammissione al concordato in bianco rappresenta solo un espediente per procrastinare la pronuncia di fallimento. (massima)
Una domanda di concordato in bianco è inammissibile quando è carente per mancata allegazione di uno dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., essendo privo di rilevanza il fatto che l’ultimo bilancio non sia stato ancora approvato e pubblicato, perché il debitore è comunque onerato di presentare, in tal caso, una situazione patrimoniale aggiornata riferita all’ultimo esercizio (massima).
25/01/2016
Fallimento della c.d. super-società di fatto, partecipata da una s.r.l., e in estensione dei soci, società di capitali
Cass. Civ. - Sez. I - 21 gennaio 2016, n. 1095, sent.
(In tema di fallimento della c.d. super-società di fatto, partecipata da una s.r.l., anche senza una delibera assembleare)
Il Tribunale dichiarava il fallimento di una s.r.l. e di due s.p.a. quali soci illimitatamente responsabili di una società di fatto – riconosciuta insolvente -, nonché il fallimento di quest’ultima.
La Sentenza di fallimento veniva poi confermata in appello e, allora, la s.r.l. proponeva ricorso per Cassazione.
In particolare, la s.r.l. contestava la possibilità della propria fallibilità, in quanto, nel caso, mancava la delibera assembleare dei soci di cui all’art. 2361, comma 2, c.c., nonché la conseguente indicazione nella nota integrativa del bilancio.
Al riguardo, la Corte ha precisato che “la partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige il rispetto dell’art. 2361, 2° comma, c.c., dettato per la società per azioni, e costituisce un atto gestorio proprio dell’organo amministrativo, il quale non richiede – almeno allorché l’assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell’oggetto sociale, fattispecie peraltro estranea al caso di specie – la previa decisione autorizzativa dei soci, ai sensi dell’art. 2479, comma 2, n. 5, c.c.”.
In conclusione, secondo gli Ermellini, “può essere dichiarato il fallimento della società di fatto, cui la società di capitali abbia partecipato, una volta accertati i presupposti (esistenza e insolvenza), e anche il fallimento in estensione dei soci – società di capitali -, ai sensi dell’art. 147, comma 1, l. fall.”.
Visti i suestesi motivi, la Corte di Cassazione ha pertanto rigettato il ricorso delle società avverso il Fallimento.
16/12/2015
CONCORDATO PREVENTIVO
OMOLOGAZIONE
Fattibilità giuridica e soglie minime di soddisfazione al vaglio del Tribunale
TRIBUNALE DI LECCO
Con riferimento ai limiti del sindacato del Tribunale sulla proposta concordataria, non è condivisibile l’orientamento di alcuni Tribunali che, per esigenze di certezza e necessità di tutela degli eventuali creditori dissenzienti, reputano sussistere un vizio della causa del concordato in cui sia ipotizzata la soddisfazione dei chirografari in misura inferiore al 5%; l’irrisorietà della percentuale idonea ad escludere la causa concordataria deve essere apprezzata infatti in concreto, e non in astratto, sulla base della peculiarità dello specifico regolamento negoziale e dell’assetto di interessi effettivamente perseguito dalle parti. (Nel caso di specie l’assenza di migliori prospettive in ambito fallimentare ed il fatto che la classe per cui era previsto il pagamento al 4% fosse costituita da istituti di credito garantiti aliunde, ha portato il Tribunale ad escludere il deficit causale).(massima)
IL CASO - Il provvedimento di omologa in commento riguarda un concordato preventivo in continuità aziendale in cui il debitore ha fissato una percentuale vincolante per il pagamento dei creditori chirografari (4% nella proposta concordataria, valutata nel minore 2,4% dal Commissario Giudiziale).
Il decreto dei Giudici di Lecco prende posizione su alcuni aspetti critici della procedura concordataria con particolare riferimento ai limiti del sindacato di fattibilità riservato al Tribunale e alla percentuale minima da garantire ai creditori chirografari.
Si precisa che la decisione in commento è stata emessa prima dell’ultima riforma di cui al d.l. n. 83/2015.
10/07/2015
La concorrenza nel concordato preventivo: offerte competitive e cessioni
Nel caso in cui il debitore abbia inserito nel piano concordatario un'offerta di acquisto dell'azienda o di altro cespite appetibile per un prezzo predeterminato e non negoziabile (cd. pacchetto preconfezionato), il tribunale può consentire la presentazione di offerte concorrenti e lo svolgimento di una procedura competitiva in epoca antecedente alla data fissata per l'adunanza dei creditori, in modo tale da consentire la migliore soddisfazione dei creditori. In analoga direzione, il novellato art. 182 l.f. introduce maggiore pubblicità e competitività nelle cessioni attuate in sede di concordato preventivo.
D.L. 27/06/2015, n. 83, G.U. 27/06/2015, n. 147
15/12/2015
Tribunale di Prato - Concordato preventivo - Deroga alla graduazione delle cause di prelazione basata sul principio della maggior soddisfazione dei creditori.
Tribunale di Prato 25 marzo 2015 – Pres. Rel. Legnaioli.
Concordato preventivo in continuità. – Attività aziendale – Destinazione degli utili ai creditori privilegiati declassati e ai chirografari – - Cause di prelazione - Deroga al divieto di alterazione – Applicazione del principio della maggior soddisfazione di creditori.
Concordato preventivo in continuità. – Attività aziendale – Alterazione delle cause legittime di prelazione – Pagamento delle prestazioni essenziali – Ammissibilità - Altri casi possibili - Scopo della maggior soddisfazione dei creditori- Criterio determinante.
In ipotesi di concordato preventivo in continuità che preveda la prosecuzione dell’attività aziendale da parte del proponente con contestuale cessione di tutti i beni, crediti, diritti e d’ogni attività ed utilità ad essa non funzionali, è ammissibile la proposta che prevede di destinare gli utili dell’attività non solo ai creditori privilegiati degradati a chirografari per insufficienza del patrimonio ma anche ai crediti chirografari, e ciò laddove il pagamento di un credito di rango inferiore comporti una soddisfazione migliore per tutti gli altri creditori. Il principio del miglior soddisfacimento dei creditori, principio cardine della nuova disciplina del concordato in continuità, consente infatti di derogare alla graduazione delle cause di prelazione che impone che, prima di passare al soddisfacimento dei creditori di rango inferiore, debbano essere soddisfatti integralmente quelli di grado poziore. (nel caso specifico è stata ritenuta ammissibile la proposta concordataria in quanto, in caso di liquidazione fallimentare o anche concordata, i creditori privilegiati incapienti non avrebbero ottenuto alcuna soddisfazione). (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
Il principio della maggior soddisfazione dei creditori giustifica, nel concordato in continuità, il pagamentodei crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, anche quando si tratti di crediti chirografari e vi siano crediti privilegiati che dovrebbero essere soddisfatti prima ed integralmente, e consente l’alterazione delle cause legittime di prelazione non solo nel caso di prestazioni essenziali alla prosecuzione dell’attività (come previsto dall’art 182 quinques, comma 4, L.F., divenuto comma 5 dopo la Novella del 2015) ma anche in tutti i casi in cui il pagamento di un credito di grado inferiore comporta una maggior soddisfazione di tutti i creditori, così che il mancato pagamento si tradurrebbe per questi in un pregiudizio. (Pierluigi Ferrini – Riproduzione riservata)
2/02/2015
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 6 febbraio 2015, n. 2243 – Società di fatto – Presupposti per poterla considerare esistente - Presidente Rovelli – Relatore Rordorf
Competenti a dichiarare un fallimento sono i giudici dello stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore, presumendosi, per le società e le persone giuridiche, che detto centro coincida, fino a prova contraria, con il luogo in cui si trova la sede statutaria. Trattandosi, però, di una presunzione di carattere relativo, ogni qual volta in punto di fatto risulti accertato che v’è discrepanza tra sede legale e sede effettiva è l’ubicazione di quest’ultima a dover prevalere ed a costituire perciò il criterio determinante della giurisdizione.
Per poter considerare esistente una società di fatto, agli effetti della responsabilità delle persone o dell’ente, anche in sede fallimentare, non occorre necessariamente la prova delpatto sociale, ma è sufficiente la dimostrazione di un comportamento, da parte dei soci, tale da ingenerare nei terzi il convincimento giustificato ed incolpevole che quelli agissero come soci, atteso che, nonostante l’inesistenza dell’ente, per il principio dell’apparenza del diritto, il quale tutela la buona fede dei terzi, coloro che si comportano esteriormente come soci vengono ad assumere in solido obbligazioni come se la società esistesse. Tale indagine, risolvendosi nell’apprezzamento di elementi di fatto, non è censurabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici
20/10/2014
Concordato preventivo
Concordato preventivo: opposizione nel giudizio di omologazione aperta anche ai creditori non dissenzienti
Con sentenza n. 20040 del 24 settembre 2014 la Suprema Corte di Cassazione ha enunciato il principio secondo cui, in tema di legittimazione alla opposizione nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, la locuzione “qualunque interessato”, prevista dall’art. 180, secondo comma, legge fall., non è necessariamente riferibile soltanto a soggetti diversi dai creditori, essendo invece suscettibile di comprendere i creditori non dissenzienti, quali coloro che non abbiano votato favorevolmente alla proposta per non aver preso parte all’adunanza fissata per il voto, o perché non convocati o, ancora, perché non ammessi al voto o, infine, perché astenuti; tali soggetti, infatti, prospettano l’interesse diretto e attuale al giudizio per contrastare l’omologazione, in riferimento al trattamento loro riservato, al di là e in aggiunta a chiunque altro, a qualunque titolo, abbia interesse ad opporsi all’omologazione.
Cassazione Civile, Sez. I, 24 settembre 2014, n. 20040
20/10/2014
Ragionevole durata del processo - Retroattività delle modifiche apportate dal decreto legge n. 83 del 2012 - Esclusione
Ragionevole durata del processo - Liquidazione del danno - Applicazione dei criteri elaborati della Corte europea dei diritti dell’uomo - Facoltà del giudice di discostarsi in ragione delle peculiarità della singola fattispecie - Sussistenza
Le modifiche apportate dal decreto legge n. 83 del 2012, convertito nella legge n. 134 del 2012, che ha modificato la legge n. 89 del 2011, non sono applicabili ai ricorsi proposti data anteriore all’11 settembre 2012 volti ad ottenere l’equa riparazione del danno per il mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. (Franco Benassi) (riproduzione riservata)
Se è vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi 3 anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a euro 1000 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione.
Cassazione civile, sez. II 15 ottobre 2014, n. 21849 - Pres. Triola - Est. Petitti.
20/07/2014
Dichiarazione di fallimento - Cessazione dell’esercizio dell’impresa - Applicazione dell’articolo 10 L.F. all’ipotesi di trasferimento dell’impresa all’estero - Continuazione dell’attività imprenditoriale - Venir meno della continuità giuridica per effetto del trasferimento - Esclusione
Laddove la cancellazione di una società dal Registro delle imprese italiano sia avvenuta non a seguito del procedimento di liquidazione dell’ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell’esercizio dell’impresa e da cui la legge faccia discendere l’effetto necessario della cancellazione, bensì come conseguenza del trasferimento all’estero della sede della società, e quindi sull’assunto che questa continui, invece, a svolgere attività imprenditoriale, benché in altro stato, non trova applicazione l’articolo 10 L.F., atteso che un siffatto trasferimento, almeno nelle ipotesi in cui la legge applicabile nella nuova sede concordi sul punto con i principi desumibili dalla legge italiana, non determina il venir meno della continuità giuridica della società trasferita e non comporta, quindi, in alcun modo, la cessazione dell’attività, come peraltro agevolmente desumibile dal disposto degli articoli 2437, comma 1, lettera c) e 2473, comma 1, c.c.. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata)
Cassazione civile, sez. I 09 luglio 2014, n. 15596 - Pres. Ceccherini - Est. Rosa Maria Di Virgilio.
2/04/2014
Accertamento del passivo - Crediti tributari iscritti a ruolo - Ammissione al passivo - Ruolo - Sufficienza - Notificazione della cartella esattoriale - Necessità - Esclusione - Fondamento - Contestazioni del curatore - Effetti - Ammissione con riserva ex art. 88, secondo comma, d.P.R. n. 602 del 1973
L'ammissione al passivo dei crediti tributari è richiesta dalle società concessionarie per la riscossione, come stabilito dall'art. 87, secondo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, nel testo introdotto dal d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, sulla base del semplice ruolo, senza che occorra, in difetto di espressa previsione normativa, anche la previa notifica della cartella esattoriale, salva la necessità, in presenza di contestazioni del curatore, dell'ammissione con riserva, da sciogliere poi ai sensi dell'art. 88, secondo comma, del d.P.R. n. 602 del 1973, allorché sia stata definita la sorte dell'impugnazione esperibile davanti al giudice tributario. (massima ufficiale)
Cassazione civile, sez. I 17 marzo 2014, n. 6126 - Pres. Carnevale - Est. De Chiara.
31/03/2014
Concordato con riserva - Domanda di omologa di accordo di ristrutturazione dei debiti - Applicazione delle prescrizioni limitative e del controllo previsto dalle norme in tema di concordato con riserva - Condotte rilevanti ai sensi dell'articolo 173 L.F.
Il richiamo contenuto nel terzo comma dell'articolo 182 bis L.F. agli effetti tipici che conseguono al deposito del ricorso per concordato con riserva di cui all'articolo 161, comma 6, L.F. deve intendersi riferito anche alle prescrizioni limitative e al controllo di vigilanza degli organi della procedura. Pertanto, qualora al deposito del ricorso per concordato con riserva faccia seguito la domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, i limiti tipici della procedura del concordato con riserva e la vigilanza degli organi della procedura tramite il commissario giudiziale eventualmente nominato (ivi compresa la possibilità di evidenziare condotte rilevanti ai sensi dell'articolo 173 L.F.) spiegheranno i loro effetti e si protrarranno sino all'omologa dell'accordo di ristrutturazione.
Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 10247 - pubb. Tribunale Velletri 20 marzo 2014 - Pres. La Malfa - Est. Caprara.
28/03/2014
DECORRENZA DEL TERMINE PER LA RIASSUNZIONE DEL PROCESSO A SEGUITO DI FALLIMENTO DELLA CONTROPARTE
L’art. 43 l.f., secondo il quale l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo, deve essere inteso nel senso che il termine perentorio previsto dall’art. 305 c.p.c. per la riassunzione del processo decorre non dalla data della sentenza dichiarativa di fallimento, né – come invece affermato da alcuni precedenti di legittimità – dalla data di iscrizione della sentenza nel Registro delle Imprese, bensì - secondo un bilanciamento degli interessi delle contrapposte parti processuali – dalla data nella quale l’intervenuto fallimento sia stato portato dalla curatela a conoscenza dell’altra parte a mezzo di dichiarazione in udienza o di atto notificato.
Tribunale di Milano , 28 marzo 2014
7/03/2014
CONCORDATO PREVENTIVO
Concordato preventivo: prededucibili i crediti anteriori ma funzionali alla procedura.
La Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui, in caso di consecuzione tra la procedura di concordato preventivo e quella di fallimento, il disposto dell’art. 111, comma secondo, l.fall., come modificato dal D.Lgs. n. 5/2006, consente di riconoscere, con le modalità previste dall’art. 111 bis l.fall., la prededuzione non soltanto ai crediti sorti in occasione, cioè durante il corso, delle procedure stesse, bensì anche a quelli sorti anteriormente, ma funzionali alla procedura.
Cassazione Civile, 05 marzo 2014, n. 5098
LE ULTIME SENTENZE IN MATERIA DI DIRITTO INDUSTRIALE.
24/11/2015
DIRITTO INDUSTRIALE
Brevetto unitario e le nuove rules of procedure: ecco cosa cambierà
Due importanti novità in materia di brevetti sono arrivate proprio in queste settimane. La prima è l’accettazione ufficiale dell’adesione dell’Italia (formalizzata nel luglio scorso) al Brevetto Unitario, un titolo unico per tutta l’Unione Europea (Spagna esclusa, per ora), con costi molto inferiori a quelli che oggi richiede proteggersi in tutti i Paesi UE, che potrà essere difeso (e attaccato) in un’unica causa con effetti per tutta l’Europa davanti a un Tribunale multinazionale specializzato e, prima ancora, costituirà una barriera alle frontiere comunitarie contro i falsi. La seconda è l’approvazione del testo finale delle Rules of Procedure della Corte, il Codice procedurale che sarà seguito anche in tutte le Sezioni locali e regionali della Corte Unitaria, compresa quella italiana, basata a Milano.
Rules of Procedure of the Unified Patent Court, 18th draft of 19 October 2015
17/12/2014
Tribunale di Milano
DIRITTO INDUSTRIALE
NULLITÀ DELLA FRAZIONE ITALIANA DI UN BREVETTO EUROPEO
E’ da ritenersi invalida (e ne va dichiarata la nullità con carico di annotazione della sentenza a cura dell’Ufficio Brevetti e Marchi) la frazione italiana di brevetti europei fondata sulla circostanza dedotta dai convenuti di essere titolare di un’invenzione del problema che la frazione del brevetto tende a risolvere, atteso che, a prescindere dall’anteriorità o meno dell’individuazione di tale problema, un’invenzione riguarda sempre non l’individuazione, ma la soluzione del problema il quale, al limite, può essere poco conosciuto o scarsamente sentito (il che renderebbe l’invenzione di scarso rilievo).
Va disattesa la domanda di declaratoria di contraffazione e concorrenza sleale avanzata dalla parte ritenuta titolare della frazione italiana di un brevetto europeo dichiarata invalida, quando fondata sull’accertata presenza di componenti fondamentali del prodotto diversi e presenti in quantità diverse, circostanze, queste, che escludono in radice sia la presunta contraffazione che la concorrenza sleale.
20/02/2014
DIRITTO INDUSTRIALE
Proprietà intellettuale ed arrichimento senza causa.
Il Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, con sentenza n. 10198/2013 ha condannato un’azienda del milanese a pagare, a favore degli attori, una discreta somma di danaro per arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c., per aver utilizzato i segni grafici, i marchi e altro materiale distintivo, che gli attori, assistiti dagli Avv.ti d’Ammassa e Pellegrino, avevano realizzato per un’altra società senza ricevere alcun compenso.La società committente era stata liquidata e aveva ceduto i marchi e gli altri segni distintivi alla società condannata.Con sentenza parziale n. 8275/2011 il Tribunale aveva giù statuito, nella medesima causa, che “trova accoglimento l’azione esercitata ex art. 2041 c.c. (arricchimento senza causa) da parte del prestato d’opera, che non abbia ricevuto alcun compenso per la cessione dei diritti di proprietà industriale e intellettuale delle opere a lui commissionate, nei confronti del terzo cessionario“.
23/04/2013
CONTRAFFAZIONE ED USURPAZIONE DEL MARCHIO
L'uso, non consentito dal titolare, di una parola corrispondente al marchio altrui per aprire un link sponsorizzato, costituisce un illecito contraffattorio ai sensi dell'art. 21, comma 2, D.Lgs. n. 30/2005 (Codice della proprietà industriale), in quanto utilizzato con funzione distintiva di servizi e in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato circa la provenienza dei servizi stessi.
Trib. Milano,